Verba volant: e tra una chiacchiera e l’altra, parlando ad alta voce, venne fuori quel nome, Josip Radosevic, pronunciato ovunque. Spalato, inverno gelido del 2009, un «bambino» s’affaccia al calcio e comincia ad irrrompere nell’Hajduk con l’eco che va ingrossandosi sino ad arrivare in cima alla piramide tecnica, laddove – all’epoca dei «fatti» – soggiornava Edy Reja. L’enfant prodige prometteva un sacco e ogni mondo è Paese se ne disquisiva, cercando i margini di miglioramento, gli accostamenti: andava come treno, menava senza paura, entrava senza frenare e finì per colpire l’immaginario collettivo di quel microuniverso che raccontava a Reja, il tecnico dell’Hajduk, d’un assatanato piombato all’improvviso nel settore giovanile e da seguire con attenzione. «E io andai a vederlo, ma molto tempo dopo, quando ormai ero già tornato in Italia: a me gli originari dei Balcani son sempre piaciuti e poi ero curioso di scoprire questo Radosevic, sul quale si sprecavano gli elogi. Penso di averlo seguito in un paio di circostanze e di esserne rimasto colpito: una furia, più o meno come Gattuso; determinazione elevatissimo, impatto immediato con la partita ed una resa consistente per gli interi novanta minuti. La tecnica non era male, il furore agonistico, invece, persino esemplare».
Josip Radosevic compirà (appena) diciannove anni nell’aprile che verrà e in quei giorni in cui Edy Reja mollò la bici a Lucinico di Gorizia e saltò in auto e andò a rendersi conto di cosa si nascondesse dietro quel passaparola arrivato sino alle sue orecchie, eravamo al cospetto d’un fanciullo appena-appena cresciuto ma che nell’ex tecnico del Napoli e della Lazio (e di molte altre squadre ancora, a dire il vero) lasciò un segno. «Perché mostrò immediatamente di essere di carattere. Chiaramente troppo giovane per poterci già pensare. Ma ora sta diventando un uomo e se dovesse continuare a maturare ed a svilupparsi…».
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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