MILANO – Poi c’è un’altra partita, che comincia al nono minuto e si sviluppa ad oltranza, che procede a vampate, che infiamma e che spinge all’entusiasmo o alla malinconia (dipende dai punti di vista). Poi ci sono Reina e Balotelli che entrano in un corpo a corpo e se le scambiano di santa ragione, ognuno per quel che può e per quel che deve, in uno scampolo di Premier League trasferito per una serata a san Siro, alla Scala del calcio. Quando Milan-Napoli è già entrata nel vivo, con furie azzurre scatenate in ogni dove e Britos ch’è andato a cogliere la gloria, Reina intuisce che serve un bel pizzico di «Pepe» per rendere piccante il menù e per frenare l’irruenza di «Supermario» l’uomo-ovunque del Milan che va a fargli paura in prima persona, mica semplicemente con il fisico ma con quella prepotenza che spingerebbe chiunque a mettersi le mani nei capelli. Bloccata. Bloccata dal dischetto, ma bloccata con una vittortia importantissima: «Sì, il successo sul Milan e in uno stadio importante contro una grande squadra è stata una movitazione in più. Tre punti a San Siro dopo ventisette anni? Bellissimo. Come dice Benitez siamo al 73 per cento, ma è solo l’inizio» .
LA PREMESSA – Ricapitolando: il miglior attacco alla difesa arriva, chiaramente, da quel talento smisurato, l’extralarge per antonomasia del calcio italiano al quale la sveglia la dà l’1-0 del Milan: ma ciò che resta d’una magia che resiste, il 2-1 sul Borussia Dortmund, è la definizione d’assatanati che si può leggere tra le righe di ciò che Reina sussurra alla vigilia e di quel che poi mostra con i fatti in campo: «Andiamo in campo sempre per vincere, dal primo all’ultimo istante». Nei giorni feriali e in quelli festivi, nelle sfide infrasettimanali e in quelle canoniche della domenica e (chiaramente) pure nei faccia a faccia cui Reina e Balotelli partecipano. Tredicesimo e son di nuovo loro, ma i guantoni son fatti per parare i pericoli, per annientarli e tenerli lontani, per conferire sicurezza al reparto, per dimostrare che poi i portieri che sanno usare bene i piedi son niente male pure con le mani.
MODERNO – Ma sì, il calcio moderno chiede pure altro e mentre la sfida particolarissima attraversa un momento di riflessione, c’è la possibilità di palleggiare, di dimostrarsi il libero aggiunto, di offrirsi ora a Britos ed ora ad Albiol, ora a Zuniga e ora a Mesto come uno sfogatoio: poi, pum, lancio lunghissimo, mai «cieco » per tentare d’arrivare sino a Callejon o a Insigne o a chiunque abbia gamba per dare esecuzione allo schema occulto.
IL ROSSONERO (NASCOSTO) – Le statistiche, nel loro piccolo, sanno persino avere un’anima e rileggendo il recentissimo passato, in quelle cinque partite ufficiali, prima di presentarsi al Milan, l’unico ad aver battuto Reina era stato Alberto Paloschi, un piccolo diavolo momentaneamente in trasferta, doppiettista a Verona con il Chievo: poi, nient’altro, i nemici erano stati fagocitati, perché nella terza rete subita (quella con il Borussia Dortmund) aveva provveduto Zuniga. Mai fidarsi troppo degli amici.
PAURA – Ma i fantasmi sono ovunque e su un angolo, pallone nel mucchio, con Balo che fa da specchietto per le allodole, Reina s’incarta, esce e però non trova il pallone, che poi rivede tra le proprie mani, dopo che l’ha scarabocchiato Mexes. E sul dischetto che s’incentra il match: occhi negli occhi, a undici metri di distanza, contro l’infallibile: prima o poi doveva accadere e pure l’altra partita ha un vincitore. «Sì, avevo studiato Mario, che è fortissimo alla lotteria dei rigori. Ma sono stato anche un po’ fortunato».
Anche se, quando mancano solo una manciata di secondi alla fine, Balo si regala la consolazione con un bellissimo gol. Ma non basta per fermare il Napoli. Balo finisce espulso, «gli faccio i miei auguri» . Sì, vincono il Napoli e Pepe Reina.
Fonte: Corriere dello sport
La Redazione
L.D.M.
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