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Rastelli: “Avellino orgoglio irpino. Vinco perchè ho uomini veri”

Allenatore vincente. Nel 2009, a 41 anni, il debutto sulla panchina della Juve Stabia, scelto dall’amico direttore sportivo Gigi Pavarese, e la promozione in Prima divisione. Nella scorsa estate il salto con l’Avellino in serie B. «E ricorderei anche la salvezza con il Portogruaro: eravamo in una brutta situazione di classifica e sfiorammo i playoff», dice Massimo Rastelli. È al primo anno da tecnico tra i cadetti e il suo Avellino sorprende. Occupa la terza piazza e ha riproposto la “legge del Partenio”, quella che nei campionati di serie A degli anni Ottanta impediva anche agli squadroni di raccogliere punti in quello stadio, che è ora dedicato ad Adriano Lombardi, il mitico capitano stroncato dalla Sla.

Avellino in zona promozione: sorpreso dai suoi giocatori?
«Mi auguravo che cominciassimo così. All’inizio della stagione ero curioso di verificare l’impatto della squadra, praticamente formata dai calciatori che avevano vinto il campionato di Prima divisione, con la serie B: ho capito che possono fare questa categoria».
E possono vincere il campionato?
«Io dico che dobbiamo pensare alla salvezza. Scaramanzia? Sono realista. Lavoriamo con grande impegno per essere perfetti in partita, ma la nostra dimensione è un’altra. La società è seria con risorse economiche non illimitate. Il direttore sportivo De Vito è bravo perché riesce a trovare giocatori sconosciuti, che sotto l’aspetto economico non pesano sulle casse societarie e che sotto l’aspetto tecnico sono utili».
Ha un segreto l’Avellino?
«Alleno calciatori che sono anzitutto uomini, dotati di grandi motivazioni. E ci sono poi i valori tecnici, evidenziati dalle convocazioni dei nostri ragazzi nelle nazionali: Zappacosta nell’Under 21; Bittante e Izzo nella rappresentativa di categoria. In questo c’è l’occhio lungo del direttore sportivo e il lavoro quotidiano. Questi ragazzi stanno crescendo bene, non dimentichiamo che sono del ’92 e del ’93».
Da ex calciatore ad allenatore dell’Avellino: difficile calarsi in questa realtà?
«No, anzi. Mi ha aiutato il calore con cui sono stato accolto dai tifosi. Loro ricordavano le emozioni che avevo saputo regalare in campo e io avvertivo ancora le sensazioni che mi trasmetteva la gente del Partenio quand’ero giocatore. E sono quelle sensazioni che ho cercato di trasferire alla mia squadra, facendo capire fin dalla scorsa stagione che rappresentiamo l’Irpinia, un territorio grande e ancora legato ad importanti valori. Come i veri irpini dobbiamo combattere in campo. Questo senso di appartenenza è stato colto da tutti, anche da coloro che sono arrivati qui in prestito. Mi auguro che tanti possano ripercorrere la strada che negli anni Ottanta hanno fatto Tacconi, Vignola, De Napoli: partiti da Avellino, hanno vinto scudetti e coppe».
Intanto, la sua squadra ha riproposto la ”legge del Partenio”.
«Cinque vittorie e un pareggio in sei partite di campionato e coppa Italia, un bilancio lusinghiero: questo stadio deve essere un inespugnabile fortino per conquistare la salvezza. Intanto, siamo orgogliosi di aver riportato entusiasmo in una piazza che si era assopita dopo il fallimento e la serie D: diecimila spettatori a partita ci danno una grande carica».
È una spinta così forte da poter aspirare alla serie A?
«Tutto è possibile con una serie programmazione. La società, dopo la promozione in B, mi ha rinnovato il contratto per tre anni: l’ho intesa come una prova di fiducia nei miei confronti e come il desiderio di costruire qualcosa di importante e ambizioso. Il primo passo del progetto è restare in questa categoria, poi si potrà immaginare di alzare l’asticella».
Una lunga carriera da attaccante, con tanta serie A e tanti allenatori: a quale si è ispirato Rastelli quando ha cominciato questo mestiere?
«Tutti mi hanno insegnato qualcosa: Lippi, Fascetti, Bolchi, Oddo, De Canio, Novellino, ne cito alcuni. Quello che mi ha dato di più è stato Orrico, che ho conosciuto a vent’anni. Mi ha insegnato la cultura del lavoro fin dal primo allenamento e io l’ho assorbita, proponendola quando sono passato dall’altra parte».
E sotto l’aspetto tattico?
«Ho cercato di sviluppare il mio calcio, partendo dal 4-4-2 di stampo sacchiano e poi cambiando. Li ho proposti tutti i moduli perché ritengo che sia necessario aggiornarsi».
Allenatore in serie A con l’Avellino?
«L’obiettivo è arrivare al massimo, ma con calma. Sono al quinto anno da tecnico e tre risultati gratificanti li ho già ottenuti. Sto vivendo ad Avellino un’esperienza importante. La B è stato un traguardo straordinario, raggiunto grazie ad una società solida che potrà ulteriormente rafforzarsi con maggiori introiti e nuove sponsorizzazioni se riusciremo a mantenere la categoria».
Nel passato di Rastelli 32 partite e sei gol con il Napoli.
«Eppure vengo ricordato per una sola di quelle partite».
Napoli-Reggina nel 2002, una serie di errori e addio al sogno della promozione in A.
«Io, invece, ricordo un’esperienza importante. Sono stato orgoglioso di indossare la maglia del Napoli: l’ho meritata, sudata, onorata. Eravamo un grande gruppo, guidati da un bravo allenatore come De Canio in una situazione societaria molto difficile: avremmo voluto trovarci in un altro contesto… Lottammo fino alla fine, però davanti avevamo quattro corazzate che rimasero in testa dalla prima all’ultima giornata».
Ha più ripensato a quei giorni?
«Rivedo le cassette delle partite del mio Napoli: beh, l’azzurro mi stava bene…».

Fonte: Il Mattino

La Redazione

G.D.S.

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