Per otto volte gli arbitri italiani hanno indicato il dischetto a favore degli azzurri e loro come hanno risposto? Disdegnando l’opportunità messagli a disposizione. Presunzione? Incontenibile sindrome di superiorità? Più modestamente si tratta di incapacità nel tenere alta la concentrazione quando la circostanza lo richiede. È un po’ il simbolo del Napoli-Peter Pan, grande abbastanza ma solo fino a quando non si arriva al momento decisivo. Per ben cinque volte è stato fallito il rigore, tre Cavani e due Hamsik, due volte il Napoli ha ribadito comunque in gol (Campagnaro contro l’Inter e lo stesso Cavani a Parma) e in altre tre ha malamente fallito. Gettando all’aria un percorso che avrebbe potuto essere ancora più entusiasmante in un campionato che vede gli azzurri comunque protagonisti ambiziosi, quando mancano ancora dieci giornate al termine. Ma se il rigore è nel calcio la probabilità più alta per fare gol, cosa sarebbe stato di questa squadra se, così come il Milan (7 rigori su 7 messi a segno), avesse approfittato fino in fondo dell’articolo 14 del Regolamento? C’è ancora qualcuno che rimpiange la partecipazione alla Champions, rea di aver rallentato il passo in un campionato che avrebbe potuto essere addirittura tricolore. Invece, sarebbe più onesto evidenziare come il Napoli si sia sottratto da solo dalla lotta-scudetto, a causa della debolezza evidenziata dal dischetto. Tre gli episodi chiave, che avrebbero permesso di migliorare la graduatoria di ben sei punti: Napoli-Juventus, Siena-Napoli e Udinese-Napoli. Tre sfide chiusesi in parità, eppure caratterizzate dagli errori commessi da Hamsik e due volte da Cavani. Se questi tenori non avessero steccato, oggi il Napoli avrebbe sei punti in più, balzando al terzo posto a quota 53 ed a sole tre lunghezze della Juve che resta l’unica formazione imbattuta quest’anno.
Altro che sforzi di Champions, sono stati certi penalty a nostro favore che ci hanno frenati. Ecco perché il rimpianto per ciò che non è stato, sarebbe più giusto spostarlo dalla luminosa partecipazione all’Europa a cinque stelle a quella debolezza cronica di non saper sfruttare i momenti più semplici e decisivi di una partita. «Che vuoi fare? Mica possiamo ammazzarli…»: ovviamente no, ma il rischio qualche secolo addietro era molto alto. Cavani e Hamsik, cavalieri senza macchia e con qualche paura, possono reputarsi anche fortunati nel vivere l’epoca moderna del calcio, altrimenti non l’avrebbero passata liscia. Chissà se qualcuno gli avrà mai riferito ciò che racconta la storia del football a proposito del calcio di rigore. Il primo in assoluto fu tirato sul campo di calcio in un sobborgo di Milford, contea di Armagh, settanta chilometri ad ovest di Belfast, Irlanda del Nord. La Irish Football Association avanzò all’International Football Association Board la proposta di adottare definitivamente il penalty anche per le gare ufficiali di calcio e, al termine di un lungo dibattito, il board internazionale approvò l’innovazione al regolamento il 2 giugno 1891. Secondo quella cultura anglosassone e un po’ crudele, il calcio di rigore, si chiamava in origine «the kick of death», il calcio della morte. Questo perché, chiunque in Irlanda del Nord avesse sbagliato il tiro dal dischetto, sarebbe stato passibile di arresto senza processo per manifesta incapacità a calciare, vista la riconosciuta facilità attribuita a questo tipo di tiro. Per la fortuna di numerosi rigoristi poco abili o meno fortunati, la rigida regola non fu mai adottata nel calcio moderno. Tutti i tiratori fallibili sentitamente ringraziano, anche Cavani e Hamsik, spesso accostati a formazioni inglesi per il loro futuro prossimo. Ma veramente ve la sentite di correre il rischio di un’improvvisa restaurazione…?
Fonte: Il Corriere del Mezzogiorno.it
La Redazione
M.V.
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