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Rafael ritorna ‘Muralha’. Il brasiliano sembra di nuovo ai livelli visti a Swansea

Terzo match senza subire reti per l'erede di Reina

Un, due, tre: per balzare incontro al futuro, per lasciarsi alle spalle ciò ch’è stato, l’infortunio e la lenta ripresa, per afferrare le critiche feroci e quel velo di pregiudizio, per dimenticare. Un, due, tre: e dalla Roma allo Young Boys alla Fiorentina, sono duecentosettanta minuti di seguito senza subire gol, tre partite piene alle quali andrebbero – vanno – aggiunti i trentatré di Bergamo, che però non danno gloria.

RIECCOLO. Dov’eravamo rimasti, se non a Swansea, se non in una serata meravigliosamente bella (sino a un certo punto), volando mica solo con la fantasia, ma prendendosi il bello della vita. Il Rafael di quella notte è magia allo stato puro, prende l’imparabile, si oppone con le mani e con i piedi ed ha già afferrato la successione di Reina. E’ un prodigio che però svanisce nella spietata legge del calcio, forse della vita, che ti trascina dall’altare alla polvere con un guizzo, un movimento sbagliato, un ginocchio che cede e la felicità che si assopisce.

BILBAO. Poi c’è la madre di tutte le ingiustizie del destino, perché al san Mamés ci scappa l’erroraccio: la combinano grossa Rafael ed Albiol e l’1-1 che sa di supplementare o almeno tiene aperta la porticina della speranza che qualcosa cambi, diventa eliminazione, diventa massacro interiore (e non solo). E’ un altro pianeta, a quel punto, ed è pure un’altra dimensione, perché l’enfant-prodige pare sparire sotto la lente d’ingrandimento puntatagli addosso: «Ma io sono tranquillo, tornerò ad essere me stesso, so che ho qualità e sono in una squadra che mi aiuta. E poi ho fede…».

LA PARATA. A volte basta poco, per rielaborare i giudizi, per rimuovere quel fardello pesante ch’è la diffidenza ambientale: e al minuto quattordici della ripresa di un Fiorentina-Napoli che dovrebbe già essere in ghiacciaia, su una parabola perfida che sta per andare ad infilarsi nell’angolino lontano, serve la mano della provvidenza, che è quella di Rafael. Il volo è plastico, la reattività vibrante, il miracolo congela la giustizia, aspettando Higuain. Rafael intanto c’è, si è già visto prima, stavolta non sbaglia i tempi nelle uscite, non azzarda, semmai tarda i tempi del rilancio dell’azione, e magari svirgola qualche pallone di piede; però tra i pali domina e nell’aria fa avvertire la propria presenza, ch’è figlia d’una serenità interiore concessagli da Benitez.

LA CHIACCHIERATA. La svolta è recente, avviene nel chiuso dello spogliatoio, dove c’è l’incontro tra il tecnico, Rafael e Andujar: vengono spiegate i motivi delle scelte, che investono sistematicamente il brasiliano del ruolo di titolare. Un portiere ha bisogno di tranquillità, non può sentirsi sotto esame, ha già il venticello avverso dell’ambiente che provvede ad inquietare: dunque, Rafael è il titolare e rimarrà tale e Andujar gli sta alle spalle, come fanno in genere i secondi, che non necessariamente devono giocare. Fedeltà e amicizia, ma soprattutto rispetto dei ruoli: la porta è di Rafael, affinché riesca a ritrovarsi, a rivivere Swansea. Quella sì che fu gioia travolgente (fino a quando non intervenne la sorte…).
Fonte: Corriere dello Sport

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