Da piccolissimo Rafael Cabral Barbosa vuole giocare a calcetto col Sorocaba (San Paolo). Ma deve aspettare: sei anni è l’età minima. La squadra ha bisogno di un portiere e così non ha più lasciato i pali: “Nessuno voleva giocare in porta. Ebbi fortuna: l’allenatore era un ex portiere e disse che avevo delle qualità”. Pure papà Sergio sognava di essere un calciatore, ma il nonno morì quando aveva 14 anni, e cominciò a lavorare: “Era una famiglia povera, mia nonna faceva la sarta”. Quando decise di fare il calciatore, Rafael ebbe l’appoggio del padre, ma la madre, professoressa, impose una condizione: se voleva giocare doveva studiare. La mamma morì quando Rafael aveva 13 anni.“Guardavo la curva e vedevo mia madre come quando ero piccolo. La guardavo e lei: ‘Guarda il campo’. E mi mandava baci. Morì di cancro. Ma non la vidi mai soffrire. Era forte”. A 12 anni il San Paolo lo manda via dalle giovanili dopo un anno perchè aveva oltrepassato l’età per la sua categoria. Poi Rafael fa il giro tra Interclub Korea, Bahia, Ituano, prima del provino al Santos a 16 anni. Nel 2009, a 19 anni, si frattura una gamba. “In tre mesi ero guarito. Un miracolo”, ricorda. Nel 2010 arriva al Santos Dorival Jùnior, che lo promuove titolare. E arrivano tre titoli paulisti (2010, 2011 e 2012), la Libertadores 2011, la coppa del Brasile 2010 e la Recopa Sudamericana 2012. Rafael era titolare dell’Olimpica di Menezes prima dei Giochi di Londra, ma una lesione al gomito gli fa perdere giochi e argento. Il suo idolo è Marcos, campione del mondo 2002. Ma ammira anche Julio Cesar: “Sa piazzarsi benissimo. Ha già salvato la Selecao in varie occasioni”. Non è la prima volta per lui in Italia: “Nel 2008 col Santos vincemmo un torneo U19 a Torino. Finimmo in testa nel girone con Juve, Chievo e Fiorentina. In semifinale, con il Santo Andrè, passammo ai rigori: ne parai due. In finale battemmo il 1-0 il River”.
Fonte: Gazzetta dello Sport
La Redazione
S.D.
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