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Rafa si fa ambasciatore partenopeo e invita gli inglesi: “Venite a Napoli”

Considera Napoli: da Benjamin a Benitez. Non c’è voluto molto a fare di Rafa un napoletano d’adozione come Caravaggio, Leopardi e la Ortese, e uguale ai primi tre – potete giurarci – ci sarà un Martone a raccontarcelo, prossimamente, a teatro. Perché Benitez tra un campo e l’altro, tra una discussione sul possesso palla e un turno di Champions League, tra un Gerrard e un Suarez, trova il tempo di scoprire the «other» Napoli e di diffonderlo. Il suo è un Grand Tour only campano, che fa del bene a questo posto. Mentre la gente della Terra dei fuochi lotta – giustamente – per avere un diritto alla salute e persino alla denuncia – per troppo tempo negati – Rafael Benitez si fa sovrintendente ai beni culturali, superassessore alla bellezza che resiste. E uguale uguale a come domanda bellezza ad Higuain e Callejon in campo, così scova la nostra storia, va a vederla, si lascia fotografare e instagrammizzare e poi lo racconta soprattutto ai giornali stranieri.
In un corto circuito molto pop e poco compreso da giunte comunali, provinciali e regionali, l’allenatore diventa ambasciatore, ed eccolo consigliare di visitare La Reggia di Caserta, Pompei, il San Carlo, Piazza Plebiscito, beltà che troppo spesso si assenta dai nostri occhi, e dalla memoria, beltà dimenticata, come direbbe Carlo Gesualdo, che no, non giocava col Napoli ma che a Londra conoscono molto bene. E Benitez fa il promoter della nostra bellezza con una tale disinvoltura e senza che nessuno gli abbia chiesto di farlo – figuriamoci se ci pensava qualcuno – che è davvero commovente. E succede che la domenica regali schemi, tattica, parole e vittorie e il lunedì invece di farsi processare per un rigore non dato, vesta i panni del sovrintendente quasi a dire che va bene il possesso palla ma anche i beni culturali hanno la loro importanza e se c’è bellezza qua fuori dal campo io voglio vederla tutta e raccontarla.
E sarebbe bastato prestare orecchio alla sua prima conferenza stampa per comprendere le potenzialità non solo del Benitez allenatore ma del Benitez testimonial e sovrintendente. E a leggerlo ieri sull’Independent sembrava di sentire un vero assessore alla cultura parlare, piuttosto che un allenatore, e nelle sue parole, in quella semplice limpidezza di concetti c’era un sentimento che noi non abbiam più da tempo: l’amore per la nostra terra. E c’era una tale familiarità con Napoli e le altre Napoli – tutte sotto l’ombra spaventosa del Vesuvio – che ci fosse un governo per questa sciagurata regione, domani chiederebbe a un testimone così autorevole e attendibile di prestarsi per ufficializzare la cosa, invece la mentalità che sento è quella che dice: «tanto lo dirà comunque».
È questo il punto, non è affatto scontato che un allenatore si faccia il Grand Tour e lo dica, questo accade perché il salto da Rafa a Rafè è stato immediato, ancora non era arrivato e già chiedeva dove andare, cosa vedere, e il suo sito nel giro di poco è diventato una vetrina alternativa delle nostre bellezze, quasi la controinformazione turistica. Perché, quando e se Rafaneapolitan sarà una App oltre che una guida interattiva con la voce di Benitez in almeno tre lingue, se ci sarà ancora Pompei e non con la difesa alta infilata da ogni parte dall’incuria, e la Reggia con un attacco aggressivo d’immagine e non di degrado, di eleganza e non di sciagurata memoria, allora, persino vincere lo scudetto non sarà stato inutile. Benitez si fa carico di un compito ultracalcistico che dovrebbe essere di chi nasce in questi posti e che invece – quasi sempre – diventa un sentimento straniero. Questo passaggio non è solo l’esplicitazione di una decisione di vita e di una scommessa lavorativa è anche un racconto di carattere e di una visione globale dell’essere l’allenatore di una squadra, parte dallo sport come valore e simbolo e si estende a una bellezza materiale che ha un costo inestimabile e trascurato. Benitez piazzandosi a uomo davanti alla Reggia, entrando nell’area del San Carlo, non fa semplicemente un atto di presenza ma una dichiarazione e una prestazione d’immagine, aggiunge se stesso a una scelta non scontata – almeno non più – regalandoci con una sobrietà tutta inglese una possibilità non vista. E quando butta lì: «To any of you unfamiliar with Napoli, I recommend you get organised for a visit», si fa napoletano, colma in pochissimo tempo tutta la distanza giornaliera che la città mette tra sé e il mondo che dovrebbe visitarla, è uno spot che Napoli raccoglierà a fine campionato, una marea di punti per il turismo. E, anche gli scrittori potranno cambiare le loro citazioni: dalla città porosa di Benjamin a quella dello stupore di Benitez.
Fonte: Il Mattino

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