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Questo Napoli ha sempre un’ impronta partenopea

Qualche napoletano ha anche detto di no alla sua città

Il destino così volle. Volle che in quel Napoli dell’87, quello del primo, storico scudetto, ci fossero ben dodici napoletani. Campani. Di Fusco, Bruscolotti, Ferrara, Filardi, Volpecina, Carannante, De Napoli, Romano, Celestini, Caffarelli, Muro e Puzone. Dodici su ventidue. Anche se tra i non napoletani ce n’era uno che da solo valeva mezza squadra e forse anche di più. Fu il Napoli dei napoletani, quello. E lo scudetto sembrò ancora più vero, più sentito.

L’ERA DE LAURENTIIS – E “il Napoli ai napoletani” fu, se si vuole, lo slogan ideale di Aurelio De Laurentiis quando in tribunale andò a prendere le chiavi di un club e d’una squadra che erano scomparsi. Fantasmi azzurri. Ma l’idea, quella del Napoli ai napoletani, era sincera e forte. E infatti, un po’ per caso e un po’ per filosofia, in quella prima squadra raffazzonata, messa in piedi in pochi giorni, improvvisata più che costruita, di napoletani ne capitarono parecchi. Otto. Un calciomercato all’ingrosso più che ragionato il primo di Marino, ma comunque rispondente a quella benedetta idea del presidente.  “Il Napoli ai napoletani”, ripeteva spesso De Laurentiis legato ai vecchi sentimenti. Al senso dell’appartenenza. Al colore della maglia. All’affetto per la terra e per la squadra. Un’idea capace di resistere ai tempi, ai campionati, persino all’esperienza dei mercati del pallone innamorati solo del denaro.
TRE DELUSIONI – Eppure, quando possibile, la prima scelta azzurra era sempre quella di coniugare il talento con la napoletanità. Fu così che stagione dopo stagione De Laurentiis pensò a Toto Di Natale da Pomigliano, a Salvatore Bocchetti da Napoli, a Mimmo Criscito da Cercola. Tre figli della stessa terra. Se si vuole, anche tre antichi tifosi dell’azzurro. E invece furono tre cocenti delusioni. Una di fila all’altra. Certo, ognuno poi la racconta come vuole. «Di Natale? Quand’era tutto fatto ha deciso di non venire più» , disse il dg Marino. «Non è vero. Su di me sono state messe in giro brutte voci. Se non son venuto è solo colpa sua» , replicò l’attaccante da anni, ormai, legato al Friuli e all’Udinese. Cert’è, però, De Laurentiis ci rimase male. E Bocchetti? Lui decise di trasferirsi dal mare di Boccadasse al gelo di Kazan, tra gli Urali e il Volga per «provare nuove esperienze e per conoscere un Paese nuovo». Un richiamo che fu più forte e intenso – così come l’odore di un ricco contratto – di quello di Napoli e del Napoli. «Fui molto vicino al Napoli, al quale diedi la mia disponibilità al trasferimento. Ma poi non ci fu l’accordo e non se ne fece nulla» , disse Bocchetti allora. E Criscito? Per lui De Laurentiis e Preziosi erano già d’accordo. Ma quando ci si mise comodi per discutere d’ingaggio ci furono problemi. E vinse lo Zenit di San Pietroburgo, forte di un contratto lungo cinque anni e tre convincenti milioni d’euro a campionato. Intendiamoci, scelte, decisioni, interessi tutti assai legittimi, ma per il Napoli i rifiuti dei tre scugnizzi che voleva avere in squadra – ad ingaggi più bassi, questo è ovvio – furono schiaffi dolorosi. E al terzo “no” crollò anche la filosofia del presidente. “Mai più napoletani”, sbottò infatti De Laurentiis. Fu la fine di un’idea. Anzi, di “quell’idea” che l’aveva addirittura spinto ad abbracciare il Napoli nella torrida estate del 2004.

Basta, dunque. Troppe delusioni. «Alla fine – commentò il presidente con efficace sintesi – valgono solamente i soldi». Già. Ma ora le cose son cambiate. E’ un’altra volta l’ora del “Napoli ai napoletani”. Il nuovo corso della nuova-vecchia idea legato ad un giovanotto alto così, ma d’antica scuola. Quella dei sentimenti e dell’appartenenza alla quale è iscritto Lorenzo Insigne detto “Lorenzinho”. E’ stato grazie a lui che Aurelio De Laurentiis ha ritrovato la voglia di credere ancora nella sua filosofia. Come dire che grazie al brasiliano di Frattamaggiore il Napoli ritrova un po’ della sua storia. Quella che un quarto di secolo fa portò dodici napoletani a vincere il primo tricolore. E domani chissà.

Fonte: Corriere dello Sport

La Redazione

A.S.

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