La camorra non è solo un kalashnikov che uccide. La camorra sono anche subdole allusioni, velate minacce, intimidazioni sussurrate perché non c’è bisogno di urlarle. La camorra è un torbido clima di isolamento, con gente che si volta dall’altra parte e si fa «i fatti suoi» mentre tu subisci prevaricazioni senza difesa. Ci ragiona su, Domenico Brescia, pensando alla maledizione criminale della sua terra. Ci ragiona per dare corpo ad una speranza, che non si rassegna. «Soprattutto per i miei due figli di sette e nove anni», dice.
La sua è la storia di un ritorno al futuro. Di un imprenditore che, disperato, due anni fa, dopo undici di attività decide di lavorare solo al Nord e poi, ispirato da un clima nuovo di pulizia e fiducia che si respira nella sua città, sceglie di tornare indietro. A Quarto, terra con il peso oppressivo della camorra, terra dove per anni il clan Polverino di Marano ha fatto il bello e cattivo tempo. Con le sue violenze e le connivenze diffuse.
«Sono nato qui, questo è il mio paese. Qui vive la mia famiglia – racconta Domenico Brescia – Il nostro settore, quello dell’edilizia, da sempre a Quarto ha subito pressioni, infiltrazioni legate ai clan. Per questo, decisi di lavorare con la mia azienda solo fuori, sobbarcandomi l’impegno di un pendolarismo che era l’unica strada per non dichiarare sconfitta».
L’azienda è la «Bredom», sigla che unisce le iniziali di quest’architetto 41enne figlio d’arte. Il padre, Gennaro, 72 anni, è stato imprenditore edile prima di lui. Così anche lo zio, Salvatore. E hanno tutti dovuto affrontare le difficoltà di lavorare in una terra dove dovevano «mangiare anche loro», le persone che non sapevano dire no ai voleri del clan. Come spiegare certe realtà a chi è di fuori? «Io parlo di pressioni ambientali, riferendomi ai suggerimenti di fornitori di cemento e calcestruzzo. Oppure, alle segnalazioni di squadre di operai benvoluti a qualcuno. Ad un certo punto, ho detto basta. Volevo essere libero, togliermi da questo giogo oppressivo».
La scelta porta la «Bredom» a partecipare a gare d’appalto solo lontano. In Piemonte, Toscana e Liguria, soprattutto. Il lavoro arriva: i rifacimenti alla scuola «Settembrini» di Torino, le ristrutturazioni alla sede universitaria di Vercelli e alla caserma della Marina militare a La Spezia. Le spalle voltate alle origini, niente più lavori con il Comune di Napoli, a Bacoli, a Quarto, con le Asl napoletane come in passato.
Minacce, lettere anonime, richieste di denaro? «Niente di tutto questo, ci sono anche altri modi per farti sentire il fiato pesante della camorra». E quei modi sono certi furti anomali e un incendio strano nei cantieri, i «consigli di certi amici».
A Quarto, la famiglia degli imprenditori Brescia è conosciuta. Gennaro, il padre dell’architetto Domenico, è stato anni fa anche consigliere e assessore al Comune.
«Siamo sempre rimasti fuori da certe cerchie poco chiare – spiega Domenico – Poi è arrivato anche l’episodio più violento di cui è stato vittima mio zio».
Era il 28 novembre 2007, quando a Salvatore Brescia spararono ad un piede. C’era stato un no pesante alle forniture imposte di calcestruzzo. Il no all’azienda «Dipendenti Ca.Fa.90 srl», poi sequestrata dai carabinieri. Era la nuova veste data ad una precedente impresa, la «Ca.Fa.90» di Marano, che era stata controllata prima dal clan Nuvoletta e poi dai Polverino. Agli imprenditori edili della zona flegrea, dei Camaldoli e del Vomero veniva imposto l’obbligo di acquistare il calcestruzzo. Dopo il ferimento, i Brescia denunciano ai carabinieri le pressioni ricevute. «Il loro cemento era pessimo», raccontò Salvatore Brescia.
Un clima pesante. Che partorì isolamento, l’indice puntato di tanti conniventi. «Ma ora, a Quarto sembra tiri un’aria nuova. Merito del pm Antonello Ardituro, che è stato vicino al progetto di affidare la squadra locale di calcio ad un’associazione per la legalità. È lui che mi ha dato la spinta. Molti hanno voglia di voltare pagina seguendo l’impegno del magistrato. Io, ad esempio, sono stato subito tra i primi entusiasti a sottoscrivere una partecipazione azionaria con la squadra di Quarto, simbolo anti-racket ».
Poi, c’è Luigi Cuomo, presidente della squadra del Quarto e coordinatore dell’associazione Sos impresa. E il parroco della chiesa del Divin Maestro, don Genny. In cinquanta, cominciano a vedersi nelle case, nelle sedi delle aziende. Decidono di lanciare segnali positivi.
«Abbiamo scelto di fare ulteriori salti di qualità per arginare il malaffare – racconta l’architetto Brescia – Poche persone hanno condizionato per anni un intero territorio. Noi vogliamo dare un segnale che qui, dopo l’esperienza della squadra di calcio anti-racket, indietro non si torna».
Ed è nata l’idea di una nuova associazione: «Quarto, legalità è sviluppo». Hanno aderito soprattutto commercianti e imprenditori dell’area flegrea. La presentazione ufficiale avverrà il 19 aprile, nella chiesa del Divin Maestro. Invitati il questore, il prefetto, i vertici di carabinieri e guardia di finanza. «Nella mia famiglia non abbiamo mai avuto paura. Ora voglio pensare che qui si possa sperare in un futuro trasparente. Lo spero soprattutto per i miei figli e per tutti i giovani di Quarto. Basta con l’isolamento. Anche io, nel nuovo clima, voglio dare un segnale e tornare a lavorare nella mia terra».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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