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Quando Diego disse: «Carlo, sei l’unico che mi è rimasto amico»

Un ruolo oscuro ma prezioso di dirigente discreto, custode di piccoli e grandi segreti

Chi si muove dietro le quinte raramente conquista fama e popolarità. Per Carlo Iuliano non è stato così: operando con discrezione pari all’intelligenza e, soprattutto, con una professionalità pari alla fedeltà all’incarico, è diventato un protagonista assoluto della storia del Calcio Napoli. Un riferimento irrinunciabile anche dopo il distacco imposto dagli anni, dal tempo che passa e dall’inarrestabile avanzata delle nuove regole della comunicazione. Noi di un’altra epoca, l’epoca degli spogliatoi con le porte aperte, del profumo del caffè di Gaetano Masturzo, delle confidenze e delle amicizie che andavano al di là del rapporto professionale, abbiamo avuto il privilegio di conoscere un piccolo grande uomo che seppe fare della sua statura fisica l’oggetto di un’autoironia scandita da mille battute, del suo ruolo di «capo ufficio stampa» un’icona all’efficienza e alla soluzione d’ogni problema.
Nelle brevi note formali che hanno dato notizia della sua fine improvvisa, si legge che «fu capo ufficio stampa negli anni d’oro di Maradona e dei due scudetti». Quanto basta per entrare nella storia. Ma in realtà Carletto Iuliano fu molto di più: svolse un ruolo oscuro ma prezioso di dirigente discreto, mediatore, confidente, fedele custode di segreti grandi e piccoli. Il volubile Ferlaino decise di privarsi di lui a metà del 1991, e da allora ci furono molti stop and go nei rapporti con la società, fino all’addio definitivo, durante la fallimentare gestione Naldi. «In realtà di uno come lui il Napoli non poteva fare a meno», avrebbe poi ammesso Ferlaino. Il quale sapeva bene, tra l’altro, che Iuliano era a conoscenza della storia segreta del Napoli, quella delle liti negli spogliatoi e dei confronti a muso duro tra presidente e allenatori, e che avrebbe potuto scrivere un libro esplosivo, pieno di rivelazioni e di racconti inediti. Non lo ha fatto (non ha fatto in tempo?) lasciando di sé l’immagine di un uomo buono, corretto, paziente e comprensivo.
Capace come pochi di muoversi in un ambiente sempre turbolento, seppe instaurare rapporti cordiali con tutti, all’esterno e all’interno della società. Legatissimo a Luciano Moggi, non gli ha voltato la faccia nei momenti più burrascosi, «perché l’amicizia viene prima di tutto». Di Diego Maradona è stato amico sincero, benché obbligato dal ruolo a sostenere la società nei momenti di tensione più acuta. Nella fase peggiore dei rapporti tra l’irrequieto campione e Ferlaino, Diego disse a Iuliano, in un incontro a quattr’occhi al Centro Paradiso di Soccavo: «Tu sei l’unica persona che mi è rimasta amica».
Chi scrive queste note addolorate non può dimenticare un episodio di inizio anni 80. Durante una tournée in America del Napoli di Rino Marchesi e Ruud Krol, Il Mattino pubblicò un articolo scabroso: si parlava di strani personaggi della mafia italo americana che si muovevano attorno alla squadra. Nell’albergo di New York arrivarono due strani individui, catene d’oro al collo e pistole sotto la giacca. Cercavano il giornalista che aveva scritto quell’articolo.
Volevano un confronto. Carletto Iuliano intuì il pericolo. Organizzò subito una rete di protezione, con Salvatore Carmando e Paolo Resi, compianto dirigente accompagnatore dell’epoca. Dopo pochi minuti l’hotel era presidiato da agenti in borghese, armati. I due brutti ceffi, ben noti alla polizia locale, s’inventarono una scusa e sparirono dalla circolazione. Da allora, per anni, Carletto ha ripetuto, sornione: «Per l’anima mia, che spavento quel giorno! Se non mi fossi mosso subito, ora staremmo ancora a cercarti sotto i ponti di New York». Grazie Carletto. Che la terra ti sia lieve.

Fonte: Il Mattino

La Redazione

M.V.

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