Correre… Paghi una partita, ne vedi due: perché Napoli-Sampdoria esprime differenze sostanziali (e interpretative) tra il primo e il secondo tempo; perché per schiodarla da quell’equilibrio spalmato in lungo e in largo dalla volontà di Mihajlovic di andare all’uomo contro uomo nella zona ha bisogno di interventi tattici; perché poi succede che quarantacinque minuti, talvolta, servano di lettura, e quelli che restano, poi, vengano utilizzati per esprimersi. Ma alla fine il concetto è elementare: correre, ragazzi, correre… Per arrivare prima sulla palla, per elevare il ritmo e dunque far lievitare le differenze tra chi ha capacità di palleggio e chi ha meno scherma calcistica, per sfiancare le resistenze di chi ha minori responsabilità. Napoli-Sampdoria è tanta corsa, ma anche un’avvicente sfida organizzativa, che premia Mihajlovic fin quando le gambe assistono Palombo e Obiang (e anche Gabbiadini, Krsticic e Soriano) e che poi, inevitabilmente, esalta Benitez, capace di risistemare (nello spogliatoio) le distanze d’una squadra un po’ slabbrata, di alternare quei tre che stanno alle spalle di Higuain e infine di osare, spingendosi all’assalto a sinistra con Armero, certo rischiando perché proprio lì si apre poi una falla, infine di concedersi superiorità.
Napoli-Sampdoria si spacca quando Benitez spostato il proprio baricentro venti metri più in là del vuoto pneumatici nel quale è stato spinto dalla Sampdoria, alla quale poi vengono meno le energie: però è anche indiscutibile che, al di là della prodezze dei singoli (l’assist di Higuain che «arma» Mertens), degli errori individuali (Da Costa ci mette del suo sulla punizione di Mertens) ci sia poi un’educazione tattica che diventa dominante e che trasforma il match in corso d’opera. Più che la strategia, dunque la tattica, è l’interpretazione di se stesso che modifica l’aspetto del Napoli, al quale Benitez riconsegna il desiderio di concedersi – di osare – nello stretto con l’uno-due, di sapersi muovere (dunque di correre) senza palla: e poi verticalità, a costo di mettersi in pericolo da solo. Correre, vincere: è tutt’uno
Fonte: Corriere dello Sport
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