Un modo di vivere, un abito mentale, un grumo di potere. Altro che passione o degenerazione da tifoso, qui lo stadio e le evoluzioni calcistiche del Napoli c’entrano poco. A leggere la sentenza firmata la scorsa notte dal gup Giuliana Taglialatela, quelli del «bronx» erano una associazione a delinquere, un gruppo organizzato con le proprie regole, le proprie strategie di dominio. Due anni dopo arresti e sequestri, arriva la condanna per due imputati, capaci di sferrare colpi contro le tifoserie avversari, ma anche contro le odiate forze dell’ordine. Condanna per due ultrà dei Bronx raggiunti lo scorso febbraio da misure cautelari nell’ambito di un’inchiesta sul tifo violento: si tratta di Giovanni Luino e di Francesco Fucci, quest’ultimo ritenuto vicino al clan camorristico dei Mazzarella (anche se formalmente non ci sono aggravanti di stampo mafiosi), nella cui abitazione avvenivano riunioni per pianificare gli attacchi ai sostenitori di squadre «nemiche». Associazione e resistenza pluriaggravata, il gup Taglialatela ha così condannato Luino a un anno di reclusione, concedendogli il beneficio della pena sospesa, e Fucci a due anni e quattro mesi.
Confermate le indagini del pool reati da stadio del procuratore aggiunto Gianni Melillo e dei pm Antonello Ardituro, Danilo De Simone e Vincenzo Ranieri, al termine degli accertamenti della Digos del primo dirigente Filippo Buonfiglio. Un’inchiesta che ha fatto emergere strategie di assalto di tipo militare, ma anche il potenziale potere di ricatto di alcuni capiultrà nei confronti di pezzi della società e degli stessi calciatori. Subito dopo il blitz dello scorso febbraio, fece notizia la «convocazione» dell’ex calciatore del Napoli Fabiano Santacroce in casa di Fucci, in quei giorni ristretto in regime di arresti domiciliari. Ai pm l’ex difensore del Napoli provò a minimizzare la cosa, spiegando che «si era limitato ad avere buoni rapporti con il tifo organizzato, anche per avere meno pressione in campo». Ma la storia del gruppo Bronx è stata ricostruita nel corso del rito abbreviato che si è concluso due giorni fa dinanzi al gup Taglialatela, al termine di una istruttoria condotta in aula dal pm Valter Brunetti. Colpito lo zoccolo duro del tifo organizzato, manette ai presunti esponenti del «Bronx», un gruppo nato più di dieci anni fa, padrone di una sezione della curva A e protagonista – secondo le indagini – di numerosi episodi di rappresaglia contro tutto e tutti. Agli atti per il momento ci sono due anni di scontri violenti, raid teppistici preparati a tavolino, in onore a uno stile di vita militare: l’inchiesta ha svelato logiche e comportamenti di 7000 elementi che si dividono in 14 gruppi ultras del San Paolo. Storia di scontri violenti: nei pressi della stazione centrale contro bergamaschi e veronesi, a Udine, finanche in Romania in occasione della trasferta Uefa contro lo Steaua, o a anche in Inghilterra contro i nipotini degli hooligan di Liverpool. Eccoli quelli del «bronx», un gruppo di cinquanta teppisti – a leggere gli atti – integralisti della violenza: sempre vestiti di nero, bollati con un tatuaggio con slogan di rabbia verso le istituzioni (da rimuovere in caso di uscita dal gruppo), dotati di spranghe, coltelli, catene, cinturoni da brandire nel corpo a corpo contro le odiate divise della polizia. Tutto veniva organizzato a casa del capo (in gergo «bar» o «baretto»), o sotto le rampe del Centro direzionale il venerdì pomeriggio, quando mancavano poche ore alla partita del Napoli o al passaggio di tifosi avversari. Fatti che con l’esito della partita del Napoli sul campo hanno davvero poco a che spartire.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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