NAPOLI – Perché in quell’istante, quando gli è stato detto, ha ripensato all’infanzia a Castelvolturno, ai sacrifici fatti da mamma e papà, al percorso per arrivare in quel sogno costruito giocando tra i palazzi, sulle mattonelle, sbucciandosi ginocchia e magari pure un po’ il cervello: perché da bambini è così. E quando gli è stata consegnata, diamine, rimanere Lorenzino Insigne è stato semplicissimo: perché glielo hanno sempre detto a casa, i piedi per terra, e lui non s’è mai staccato dal suolo, anche se stavolta, caspita, un po’ con la testa tra le nuvole s’è rischiato di ritrovarsi perché la sorpresa e lo stupore l’hanno fatta da padrone.
CHI L’AVREBBE DETTO? – Cose che càpitano, attenti all’accento: perché in quell’istante, Benitez che dice «Insigne, la fascia è tua», c’è da restar storditi. La fascia non è la corsia, è il simbolo di una leadership tecnica riconosciuta, è il messaggio diretto al cuore d’un ragazzo – ventidue anni e trecentododici giorni – che non ha fatto in tempo ad essere il più giovane di sempre (vince Hamsik, non si discute), ma che rientra nella storia d’un club che ha avuto Juliano e poi Bruscolotti e poi Paolo Cannavaro e ora, magari per un pomeriggio solo ma che fa, ha Lorenzo Insigne.
DA FAVOLA – Il capitano, eh sì: e siamo appena alla seconda stagione tra i titolari, la quarta da professionista, cominciata nel 2010 a Livorno, continuata per un po’ con la Cavese, sviluppata crescendo al fianco di Zeman, tutti tagli e diagonali e quel gol che ora gli manca come l’aria, perché tra la serie C e la serie B ne aveva fatti trentasette e stavolta non gli riesce il dribbling alla sua maniera o la palla con il giro e Mertens gli ha pure sottratto le punizioni. Però poi mica è da gettare questa stagione, con la rete all’incrocio dei pali contro il Borussia Dortmund e tante altre piccole-grandi soddisfazioni, terzo posto incluso, perché sa di prelimnare di Champions: però adesso viene il bello, un finale da «grattare» con il talento, un passaggio il 3 maggio all’Olimpico di Roma per vivere l’emozione d’una finale e poi l’attesa per le convocazioni di Prandelli, destinazione Brasile. Perché son cose da capitano….
Fonte: Corriere dello Sport
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