La calma delle acque del lago di Ginevra è la stessa con cui Michel Platini risponde alle domande, anche le più scomode, su un mondo del calcio dove le polemiche sugli arbitri, sulla moviola e sul gol-non gol abbondano. Il numero uno dell’Uefa arriva puntuale in una delle sale riunioni nel quartier generale di Nyon: non porta la cravatta e rispetto a quando giocava ha messo su qualche chilo, ma ricorda bene sia gli anni bianconeri sia un’amichevole sulla spiaggia di Abu Dhabi nel dicembre 2010 insieme ai giornalisti italiani. «Ero in squadra con lei – ci ha detto per rompere il ghiaccio – e vincemmo 3-2. Chi segnò il golden gol?». Sorrisi che si sprecano perché a distanza di due anni Le Roi sapeva bene che quella rete l’aveva segnata lui…
Seduto per quasi un’ora sorseggiando un thé, Platini ha parlato della Juventus che considera ancora la favorita numero uno nella corsa per lo scudetto, del Milan destinato a superare la crisi, di De Laurentiis che ha fatto tornare grande il Napoli, di Maradona possibile futuro allenatore azzurro, delle bandiere Zanetti e Totti, della versione australiana di Del Piero, di Balotelli, Prandelli, del Trap e di tanto altro. Lo ha fatto spesso anticipando le nostre domande e dando la sensazione di guidare l’intervista. «Non a caso giocavo con la maglia numero 10» ha affermato sorridendo. L’ex fuoriclasse della Juve, però, ha affrontato anche l’argomento moviola in campo ribadendo il suo no e promuovendo l’utilizzo dei 5 arbitri. L’argomento è stato utile per assestare una stilettata a Blatter, con il quale i rapporti si sono guastati, prima dei saluti e della pennellata finale del campione. «Il prossimo anno, quando il Mondiale per club verrà giocato in Marocco, ci vediamo per un’altra partita sulla spiaggia». Conviene iniziare ad allenarsi…
Platini, cosa pensa del campionato italiano?
«Sì, recentemente ho visto Juventus-Inter e Lazio-Roma. La vostra Serie A rimane interessante ed esprime sempre un buon calcio, anche se molti campioni adesso giocano altrove».
Che partita è stata Juventus-Inter?
«Bella e mi è piaciuta. Complimenti all’Inter che è riuscita a interrompere la serie di 49 gare senza sconfitte della Juve. I bianconeri potevano chiudere il match segnando il 2-0 e il 3-0 nel primo tempo, ma non l’hanno fatto e hanno subìto la rimonta nerazzurra nella ripresa».
L’arbitraggio di Tagliavento ha fatto molto discutere complici gli errori commessi.
(Ride) «In Italia è sempre la stessa storia… E se un giorno gli arbitri entrassero in sciopero per tutte polemiche? Come fareste a far giocare le partite?».
Crede che la Juventus sia ancora favorita per lo scudetto?
«Sì, per me è ancora la candidata numero uno».
Cosa le piace della formazione di Conte?
«Rispetto al passato guardo il calcio da appassionato e non ho più una visione da tecnico, ma ho notato che la Juventus attuale attacca con 6-7 giocatori, gli stessi che la mia Juve utilizzava… per difendere (ride di gusto, ndi). E’ diventata una squadra più offensiva e il catenaccio e il gioco difensivo che c’erano in Italia fanno parte del passato: merito del Milan di Sacchi che ha cambiato tutto con il 4-4-2 e il fuorigioco “alto”. Ora i bianconeri hanno la stessa mentalità delle squadre inglesi e vanno sempre in campo per vincere».
Ce la farà a consegnare la Champions League ad Agnelli prima della fine del suo mandato da presidente dell’Uefa?
«Tempo fa avevo detto che avrei avuto bisogno di qualche mandato in più per riuscirci. Adesso la Juve è cresciuta e ha ottenuto ottimi risultati. Vedremo…»
In cosa Andrea Agnelli le ricorda l’Avvocato?
«Andrea è Andrea, l’Avvocato era l’Avvocato. Lui era… con l’elicottero sopra la Juve: si occupava degli aspetti politici e diplomatici, non della gestione ordinaria come fa Andrea che è dentro la società ogni giorno. Non si possono paragonare».
Lo stile di Andrea Agnelli le piace?
«Lo stile dell’Avvocato era inimitabile, ma anche Andrea è bravo, ha fatto le cose molto bene e sta lavorando per far tornare grande la Juve. Deve sbrigare la questione relativa al numero degli scudetti, un tema che affascina i tifosi e che ha una carica molto juventina. Certi argomenti provocano discussioni a non finire, ma fanno perdere solo tempo: adesso che la Juventus è tornata ad essere un club di livello internazionale vedrete che certi temi saranno meno attuali».
Anche l’Uefa è stata “investita” dalla polemica sui 28/30 scudetti bianconeri con una lettera spedita da Torino.
«E’ una cosa italiana, l’Uefa non c’entra niente».
Che effetto le fa non vedere lo squalificato Conte in panchina nelle gare di Champions League?
«Rispetto le decisioni prese dagli organi della giustizia sportiva italiana. Non ho seguito questa vicenda (il calcioscommesse, ndi), ma la Federcalcio ha deciso e noi ci adeguiamo».
Grazie al suo nuovo stadio la Juve è la società italiana più all’avanguardia?
«Sì, lo stadio permette di avere ricavi importanti per la gestione del club. Le perdite delle grandi società italiane sono dovute principalmente all’assenza di impianti moderni e di proprietà. Per questo quando abbiamo stilato le regole del fair play finanziario abbiamo inserito la possibilità di fare investimenti sui giovani e sulle infrastrutture senza che questi costi incidessero sui debiti».
La maglia numero 10 della Juve che è stata sua, di Baggio e di Del Piero adesso non la indossa nessuno. Giusto così?
«Se fosse successa la stessa cosa in passato, dopo Sivori non l’avrebbe più portata nessuno. Per me è meglio che qualcuno ce l’abbia perché la 10 per i bambini ha un fascino particolare».
Cosa ha pensato quando Del Piero è andato via dalla Juve per giocare in Australia?
«Arriva un giorno in cui un calciatore deve lasciare il suo club. Non si può giocare a calcio all’infinito ed è meglio che uno se ne vada liberamente, piuttosto che sia messo alla porta o che finisca per essere sopportato. Una bandiera che non serve non è più bella da vedere. Un altro anno in panchina per Del Piero non sarebbe stato piacevole».
Alex non poteva essere ancora utile?
«Evidentemente no visto che non è più alla Juve. Per me Del Piero ha fatto bene ad andare in Australia. Sta vivendo un’esperienza speciale in un altro continente, lui e la sua famiglia impareranno l’inglese e si confronterà con un calcio diverso insegnando molto ai giovani. Sognavo anche io di fare come lui, di trasferirmi al Cosmos quando lasciai la Juve, ma là in America finirono i soldi (ride, ndi) e così smisi. Sarebbe stata una bella esperienza».
Zanetti e Totti, le bandiere di Inter e Roma, invece, rimarranno fedeli fino all’ultima partita della loro carriera.
«Entrambi giocano bene, sono titolari e hanno la fiducia dei rispettivi allenatori. Finché stanno così, fanno bene a non andarsene. Quando però non saranno più titolari e staranno più in panchina che in campo, meglio che smettano o che cambino squadra».
Totti è il terzo miglior marcatore della storia della Serie A eppure ha vinto poco: ha sbagliato a restare alla Roma tutta la carriera?
«Da anni dico che Totti è un grandissimo giocatore, uno dei migliori italiani di sempre. Se fosse andato in un’altra società probabilmente avrebbe vinto di più, ma credo sia stato felice di alzare qualche coppa in meno pur di restare tutta la carriera alla Roma. In questo mi ricorda Zico: era un fenomeno, ma scelse l’Udinese e, non andandosene mai, non vinse».
Si aspettava un Milan così in crisi già in autunno?
«Il Milan è la squadra che ha vinto di più sul campo negli ultimi venticinque anni, ma quando sono arrivato io in Italia, era in Serie B. Cosa vuol dire? Che il calcio è fatto di cicli, ma che i grandi club come il Milan non muoiono mai. Possono avere una o due stagioni difficili, poi però…».
Anche il calcio italiano in generale non attraversa un gran momento e nel ranking europeo perde posizioni.
«Il ranking Uefa è l’espressione dei risultati di un Paese e per risalire la classifica bisogna far parlare il campo. Il nome di una nazione non conta niente: per avere più squadre nelle coppe devi vincere».
La Serie A secondo lei è in crisi?
«Io non vivo nel momento, ma nel tempo. Quando ero in Italia, negli anni 80, le squadre potevano avere 2 soli stranieri, poi sono state aperte le frontiere e sono arrivati grandi giocatori. La storia è fatta di cicli: adesso parecchi campioni vanno altrove, ma tra qualche anno magari torneranno da voi. A livello di nazionale però mi sembra che stiate andando bene visto che siete arrivati in finale agli Europei».
La rinascita del nostro calcio può partire da una serie di giovani dirigenti come Andrea Agnelli, Barbara Berlusconi e Angelomario Moratti?
«Perché no? Forse la vecchia generazione di dirigenti è finita. Può darsi che Berlusconi nel calcio abbia fatto il suo tempo, come è successo per i predecessori di Andrea Agnelli. Nel calcio le cose cambiano con il passare del tempo».
Anche tra i tecnici c’è aria di rinnovamento. Si aspettava così tanti giovani sulle panchine della Serie A?
«Conte, Stramaccioni, Montella e altri tecnici hanno avuto un’opportunità perché diversi grandi allenatori italiani hanno trovato lavoro all’estero. Se Ancelotti, Capello, Mancini, Spalletti e gli altri fossero rimasti in Italia, non so se ci sarebbe stato spazio per i giovani».
Le piacerebbe se Maradona, suo rivale in tante sfide tra Napoli e Juventus, diventasse l’allenatore degli azzurri?
«Se De Laurentiis deciderà di affidargli la panchina del Napoli, perché no? Sarebbe interessante vederlo lavorare al Napoli: è una persona simpatica e squisita con la quale ho sempre avuto buoni rapporti».
Con De Laurentiis invece come vanno le cose?
«Bene, molto bene… Il presidente non è d’accordo con tutto quello che faccio e io non sono d’accordo con tutto quello che dice, ma ci siamo visti a Capri e ogni tanto ci telefoniamo: parliamo e confrontiamo le nostre visioni diverse del mondo del calcio. Quando ha acquistato il club, non conosceva questo mondo e voleva rivoluzionarlo, ma adesso ha capito molte più cose. Ha avuto il grande merito di aver ridato al Napoli la dignità e la grandezza che merita».
Il Napoli può vincere lo scudetto?
«L’ho detto: per me la Juventus è favorita, ma tutto è possibile».
In un’intervista al “Time” Balotelli ha detto che i razzisti sono stupidi ed è difficile parlare con loro. Come si risolve il problema?
«I razzisti non li vedi perché gridano nascosti dietro ad altre persone. Nessuno va a insultare in faccia una persona di colore, a meno che non abbia 10 come lui alle spalle… Il razzismo e il nazionalismo sono sempre più diffusi e combatterli non è semplice: bisognerebbe mettere un poliziotto dietro ogni persona allo stadio. Punire le società invece non è giusto perché non c’entrano niente con la stupidità dei loro tifosi».
Cosa ha pensato dopo la doppietta di Balotelli agli Europei?
«Sono sincero, come giocatore l’ho scoperto durante Euro 2012 e mi ha fatto una grande impressione. Può essere importante per l’Italia».
Se fosse stato suo compagno di squadra, cosa gli avrebbe consigliato per evitare i guai fuori dal campo?
«Difficile dare consigli. Siamo di due generazioni diverse: abbiamo culture diverse, educazioni diverse, modi di comportarci diversi… Io i consigli li davo a… Boniek».
A Balotelli invece li dà il suo ex compagno alla Juventus, Cesare Prandelli.
«Cesare me lo ricordo come giocatore: era il dodicesimo uomo ideale perché sapeva giocare in ogni posizione. Allora c’erano solo due sostituzioni e quando Trapattoni voleva cambiare modulo, sceglieva sempre Prandelli che non tradiva mai la sua fiducia. Era ed è una persona piacevole e intelligente».
Come giudica il suo lavoro da ct dell’Italia?
«Non mi interessa molto la tattica dell’Italia o quella della Fiorentina quando lui l’allenava. Io preferisco sottolineare che ha portato in Nazionale gli stessi valori umani che c’erano nella Juventus degli anni 80. E questa è una delle chiavi del suo successo».
Stasera la Francia sfiderà l’Italia in amichevole. Per lei sarà una specie di derby?
«La partita non la seguirò perché sarò a vedere Irlanda-Grecia dove comunque incontrerò altri due italiani: Tardelli e il Trap che è sempre sulla cresta dell’onda».
Tra un mese ci sarà l’assegnazione del Pallone d’Oro. Pirlo lo merita?
«Sì, ma non è l’unico candidato. Tanti lo possono vincere quest’anno».
Cosa pensa di Mourinho?
«Che fa bene al mondo dei giornalisti. E’ una persona intelligente e ha capito come funziona la comunicazione. Dovunque vada vince e quando se ne va via, a quel Paese manca. Scommetto succede lo stesso anche in Italia…».
Secondo lei nel calcio la sudditanza psicologica degli arbitri nei confronti delle grandi squadre esiste?
«Dovete chiedere a Collina o agli arbitri, non a me».
Quando era alla Juve ha mai avvertito che i direttori di gara avevano “rispetto” per i bianconeri?
«Dire che l’ho “avvertito” è poco perché tutti ne parlavano. Quando sono arrivato in Italia non si era ancora spento l’eco delle polemiche tra Juventus e Fiorentina per come si era concluso il campionato 1981-82 (scudetto all’ultima giornata ai bianconeri grazie a un rigore non concesso al Catanzaro, avversario dei bianconeri, e al pari della Fiorentina a Cagliari, con un gol annullato a Graziani, ndi). Prima di capire il calcio italiano, ho capito che tutti criticavano la Juve. Succede sempre a chi vince».
E così, quando andavate in trasferta, vi urlavano spesso “ladri”.
«Dal campo non l’ho mai sentito e comunque con la squadra che avevamo non avevamo bisogno degli arbitri per vincere. I direttori di gara sono essere umani e possono sbagliare».
Lei da presidente dell’Uefa ha introdotto gli arbitri d’area per limitare gli errori.
«Un solo arbitro non basta e invece adesso che in campo ce ne sono 5 in grado di comunicare tra di loro c’è l’opportunità di vedere tutto quello che succede. Questo non vuol dire che non ci sono o non ci saranno degli errori perché l’interpretazione di un episodio può essere sbagliata, ma ora chi dirige, rispetto a 100 anni fa, ha più controllo sulle partite ed è aiutato. Io voglio questo: aiuto per chi deve fischiare e decidere in pochi secondi».
Qualche settimana fa, però, lei ha detto “Se in 5 non sono capaci di vedere bene, cambino mestiere”.
«Giusto e lo ribadisco perché adesso le azioni si possono seguire bene, ma per esempio i fuorigioco rimangono difficili da valutare. Pensate che su certi episodi non si trovano d’accordo neppure le persone a casa, sedute davanti alla tv e con mille replay disponibili».
La moviola non potrebbe aiutare?
«Con la moviola nel calcio, un’azione non finirebbe mai e poi vorrei capire come sarebbe utilizzata. Per un fallo non fischiato a metà campo dal quale nasce una rete? Per un calcio d’angolo non assegnato? Per un rigore non concesso o concesso ingiustamente? Il gioco deve essere continuo, non si può vivisezionare ogni azione anche perché si possono trovare molti spunti per chiedere la moviola. Io sono a favore della giustizia, ma la giustizia non è data dalla moviola. Non dimentichiamo poi che la moviola costa molto perché le tv non darebbero gratuitamente l’utilizzo delle loro telecamere. E chi gestisce le telecamere? Sicuri che non ci sarebbero polemiche su come verrebbe schiacciato un bottone o su come verrebbe visionato questo o quel filmato? Quando c’è di mezzo un essere umano, l’errore è sempre possibile».
La moviola non sarebbe utile neppure per il gol-non gol?
«Una stagione con 5 arbitri per la Champions League e l’Europa League costa 2 milioni di euro. Per avere nelle stesse gare la “goal-line tecnology” dovremmo pagare il primo anno 32 milioni di euro che salirebbero a 54 in 5 stagioni. E Blatter dice che costa troppo tenere 5 arbitri a partita… Mi fermo qui e non parlo del 5% che la Fifa prende di tassa per la “goal-line tecnology”…».
Raiola ha criticato duramente Fifa e Uefa perché sono arretrate e “mafiose”. Vuole rispondere?
«Raiola? Non so chi è. Mi sono informato solo dopo che ho letto le sue frasi. Lasciamo stare».
Nel 2020 è possibile un Europeo con partite giocate in 13 Paesi diversi?
«E’ una mia idea che viene discussa in queste settimane dalle varie Federazioni. Ci sono e ci saranno meeting e vedremo a fine anno quale sarà la decisione».
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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