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Più ombre che luci sulla nuova riforma del calcio italiano. Il dubbio sui giovani e l’inganno sugli Under. Ma chi ne è vero artefice?

Se al centro della discussione c’era il calcio italiano e la sua crisi, l’Italia ed il suo periodo complicato, la riforma non riforma. Spiegata in soldoni, tocca tre punti principali: le rose dovranno essere composte da 25 giocatori, di cui 4 cresciuti in Italia e 4 nel vivaio del club dove sono tesserati (per 3 anni o 36 mesi prestiti compresi) con libero tesseramento degli Under 21. Secondo: i giovani extracomunitari, al primo tesseramento, dovranno essere residenti in Italia ed entrato nel paese non per ragioni sportive e con i genitori, frequentando per almeno 4 anni la scuola italiana. Poi, ancora sugli extracomunitari, se prima per tesserarne due dovevano essere ceduti due all’estero o svincolati, adesso se ne potrà aggiungere un terzo senza necessità di liberarne uno. La sostituzione dell’extracomunitario sarà invece possibile solo qualora ci fosse il contratto da professionista da almeno tre anni.

In tutto questo, tre domande, identiche: ma gli italiani? Ma il movimento italiano? Ma la Nazionale? Il curriculum richiesto per i nuovi extracomunitari, intanto, è cosa che non mette certo paletti e ben diverso da quelli imposti dalla Football Association inglese. Ieri l’AIC ha presentato uno studio (i calciatori, con gli allenatori, hanno votato no alla riforma) secondo cui tra gli ultimi 300 non-UE arrivati, solo 3 non avevano i requisiti giusti per essere acquistati. Poi: dei 4 cresciuti in Italia e dei 4 del vivaio del club, non è specificata la nazionalità. Dunque, perché non potrebbero essere 4 olandesi e 4 francesi, giusto per fare un esempio? Cosa dà, questa riforma, al movimento calcistico italiano e nazionale, cosa dà, soprattutto, ad un’Italia povera di talenti? Il libero tesseramento degli Under 21, se il resto della rosa sarà poi composta da tutti stranieri (sì, è possibile, e pure gli Under potrebbero esserlo), farà sì che i baby saranno più riempitivi che altro, Primavera o giovani aggregati ma non certo ‘conditio sine qua non’ per una società da avere ad ogni costo e, magari, da schierare in campo. Poi, l’ultima domanda: ma se allenatori e giocatori votano contro, il peso di chi è vero artefice del calcio giocato qual è? Lo abbiamo già visto nel corso dell’elezione di Carlo Tavecchio, la domanda è retorica. Calciatori ed allenatori non contano, se il resto del calcio decide per una riforma che non riforma.

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