Non chiedetegli pronostici: per gli uomini di mare la scaramanzia è cosa seria. Se sono napoletani, poi, è quasi sacra. Per Pippo Dalla Vecchia, presidente del Reale yacht club Canottieri Savoia, la Coppa America evoca pensieri e sentimenti. Il suo è l’unico circolo partenopeo ad aver lanciato la sfida alla Vuitton Cup. Il suo è l’unico che, per qualche mese, ha coronato il sogno di poterlo organizzare. «Avesse vinto Vincenzo Onorato con Mascalzone Latino, avremmo fatto di Napoli la vera capitale della vela del Mediterraneo. Altro che Valencia».
Presidente, ci sarà Luna Rossa nelle acque del golfo di Napoli ma non il suo storico skipper, De Angelis.
«Francesco è cresciuto qui con noi, lui andava pazzo per il pallone. Il padre Paolo, che era un gran pediatra, era socio del Circolo Italia, e lo portò che aveva poco più di dieci anni. Io invece di farlo nuotare, come voleva il suo papà, lo affidai a Gennarino De Lella, storico istruttore. Aveva un carattere molto chiuso, una specie di aria da seminarista. Si allenava pochissimo ma vinceva in maniera sorprendente».
È stato una sorta di prodigio?
«Per me anche di più. Vi racconto: lo misi su un vecchio Finn del Circolo Italia. Lui si industriava, meticoloso, ai bozzelli, alle cimette, alle viti e alle viterelle per ore e ore, andando a mare al massimo due volte alla settimana. Io gli dissi: ”ma che fai sempre a terra, esci, vai a Capo Miseno, vira, stramba, lo sai che è l’allenamento la forza della mediocrità?”. Pochi mesi dopo a Barcellona, nella prima gara ai Campionati europei juniores, vinse. Io sono stato felicissimo ma avevo delle perplessità: visto che aveva vinto con così poco allenamento pensavo che la vela non era più lo stesso sport».
In fondo, per fortuna, si sbagliava. È stato il primo timoniere non aglossasone ad aver disputato una finale dell’America’s Cup.
«E noi al circolo abbiamo sempre fatto festa con lui. Nel 1983 le nostre vite si sono davvero congiunte: a Napoli, nel Campionato europeo della classe J24, una barchetta di otto metri, vinse in maniera sorprendente. Per dirne un’altra: nel 1986, io e suo padre, prendemmo insieme una Star. L’affidammo a Francesco e a mio figlio Aurelio, al loro primo tentativo in quella classe. Rimase anche l’unico, ma conquistarono il titolo italiano sul lago di Bracciano. Il suo talento esplose a Capri, One Ton Cup, nel 1987, quando mise in riga decine di barche. Poi l’anno dopo a Napoli l’apoteosi quando era sulla barca di Pasquale Landolfi, “Brava”, e a bordo c’era anche Paul Cayard. Fu bello vederli sfidarsi nel 2000, uno su Luna Rossa e l’altro su America One».
Tanta Coppa America è passata per il golfo di Napoli.
«Una volta le regate che contavano si facevano o qui, o a Genova o a Venezia. Ora non è più così ed è un gran peccato per tutti. Non è un caso che le gare olimpiche del 1960 restano ancora il più grande evento di vela organizzato in queste acque».
Anche le World Series sono un appuntamento di primo livello?
«Certo che lo sono. Ho visto le imbarcazioni, questi catamarani AC45 che si sfideranno nel golfo. Io sono abituato al fiocco, alla randa, alle regate di flotta dove si parte in cento…».
Si evolve tutto, lo fanno anche le barche.
«Non dico che non sia giusto, è il segno dei tempi. Mi viene in mente Francesco Cioffi, il capo marinaio del club Nautico al Borgo Marinari: tra le due guerre c’erano alcuni giovanotti che provavano a spiegagli la maniera moderna per mollare le sartie o per la messa a punto della sua barca con cui aveva vinto qualsiasi regata. Lui replicò: ”Mi sono fatto vecchio giusto giusto…”. Aveva ragione lui».
Tante vittorie da presidente del Savoia ma anche un’amarezza.
«Sono decenni che non mi arrendo all’idea che la mitica Italia, la barca che vinse le Olimpiadi del 1936 e che poi approdò a Napoli nel 1949 per gareggiare con il Circolo Nautico, sia nelle mani di un privato. Dagli anni ’80 è di proprietà di un negoziante di piazza Donn’Anna: dovrebbe essere un monumento, esposto al pubblico. Invece non è così».
Come lo è adesso Mascalzone Latino?
«Esatto. Un pezzo di storia. Un sogno meraviglioso che abbiamo inseguito con Vincenzo Onorato. Nacque tutto intorno ai tavoli del circolo. Oggi sarebbe impossibile prendere parte all’America’s Cup. Gli organizzatori di San Francisco vogliono almeno 100 milioni di euro per la partecipazione».
La vela napoletana e le Olimpiadi.
«Sono sempre stato affezionato ai trionfi di Agostino Straulino: era stato un ammiraglio della Marina militare, aveva comandato la Vespucci e aveva problemi alla vista legati a Gibilterra. Non perdonò mai a un altro napoletano, Pasquale De Concilis, designatore unico alle Olimpiadi di Kiel del ’36, di non averlo convocato. Era nato in Dalmazia ma divenne presto napoletano. Vinse un oro a Helsinki e un argento a Melbourne del 1956. Era un uomo difficile, bisognava indovinare il suo pensiero e sopportare i suoi improperi. Io ero l’unico che poteva prenderlo in giro: lui vinceva e io lo insultavo dicendo che le sue vittorie erano frutto di raggiri e di malefatte mai commesse».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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