Tre maggio, l’appuntamento è fissato – e da quanto – e stavolta val la pena di curarsi, di visitarsi dentro innanzitutto con se stesso, per capirsi, per interrogarsi, per non lanciarsi avidamente contro il pericolo: però già l’Inter è ormai prossima per Higuain e le paure sono evaporate durante la Pasqua, complici i messaggi inviati dal corpo – dalla tibia e dal perone sempre meno doloranti – e dalla sensibilità nei movimenti.
L’incidente. Ma è stato un attimo di terrore, giovedì 17 aprile: il contrasto nell’allenamento, il rumore sordo del contatto, la fitta lancinante, la scelta di andare subito in clinica, accompagnato dallo staff medico, per mettersi l’anima in pace ed allontanare qualsiasi blanda preoccupazione. «Contusione» : e vabbé, c’è di peggio per chi in ottobre ha deambulato ai margini di se stesso, avvolto il quell’accidente misterioso che l’aveva tenuto fuori a Londra (contro l’Arsenal) e poi con il Livorno e per oltre un’ora proprio all’Olimpico con la Roma.
Tornò (quasi) ad essere Higuain con l’Olympique Marsiglia, quando s’inventò un ««no look» per spedire in porta Callejon; si riprese la scena con la doppietta al Torino su rigore che chiuse il digiuno di trentacinque giorni e spense pure ogni sospetto.
Pronto. Ma stavolta è stato un banale e però indigesto tackle, quelli che in genere restano lì e che invece ha steso Higuain, la spedito fuori dall’elenco dei convocati per Udine ed è servito per spargere quel filo di pathos su una vigilia interminabile, cominciata chissà quando, però già viva. «Ma ce la farò». Ci sono partite a cui è impossibile resistere.
La settimana decisiva. Come condizione, Rossi è più avanti di Gomez. Lo è stato fin dall’inizio della stagione, anche quando Pepito doveva ancora stabilizzare il suo ginocchio perennemente instabile. E’ questione di fisico. Quel fisico che potrebbe aiutare Giuseppe nell’ultimo capolavoro di volontà e passione: tornare in campo sabato prossimo a Bologna.
Oggi inizia la settimana decisiva. Se Rossi ce la fa per Bologna, anche solo per rimettere piede in campo, allora la finale di Coppa Italia del 3 maggio contro il Napoli diventa un obiettivo concreto. «Fa già i cambi di direzione in corsa, ma solo quelli programmati, si piega quando lo decide lui. Ora dobbiamo capire come si comporterà quando sarà l’avversario a costringerlo a un cambiamento repentino», ha spiegato sabato sera Montella. La testa di Pepito.
Non dipende tutto da quel ginocchio, ma anche dalla testa di Rossi. Siamo di fronte a un caso unico, Giuseppe si è fatto male di continuo, si è operato, è stato fermo due anni, è rientrato e si è fermato di nuovo. Sono 4 mesi che non gioca, sa che ogni piccolo rischio va evitato. Deve mediare fra la voglia di tornare e l’esigenza di non farsi male un’altra volta. Deve cercare un equilibrio che solo un ragazzo equilibrato come lui può trovare. Non sarà facile, lo sa il giocatore, lo sa Montella, lo devono sapere i tifosi e tutti quelli che aspettano il ritorno in campo del miglior attaccante italiano, ma la possibilità c’è, adesso sappiamo anche questo.
L’attesa di Prandelli. Rossi vuole il Mondiale e questa è una motivazione in più, peraltro molto forte. Se gioca la finale, Prandelli lo inserisce nella lista dei 30 nomi che ogni federazione deve consegnare alla Fifa il 13 maggio, vale a dire 10 giorni dopo la finale contro il Napoli. Poi, durante il ritiro di Coverciano, deciderà se infilarlo anche fra i 23. Ma se non gioca quella partita, se non fa almeno un tempo, diventa molto difficile per il ct valutare le sue condizioni. Dal 3 maggio, giorno della finale, al 13 maggio, giorno della consegna della lista azzurra, ci sono due sole partite di campionato, è poco per una valutazione precisa.
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