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Pipita vs Pepito. Higuain vuole tornare già con l’Inter, Rossi tenta il recupero per la finale

Ce la fa. E’ un conto alla rovescia che torna, è la voglia matta che aiuta a lenire ogni ferita, è un appuntamento irrinunciabile in uno stadio che ispira – gol con la Nazionale argentina, doppietta alla Lazio – è l’ultimo tram del desiderio per regalarsi un trofeo, per mettere il proprio timbro su qualcosa che valga, che resti nella bacheca del club e tra le conquiste personali. «Napoli è una città stupenda, ideale per giocare al calcio, che qui viene vissuto con passione simile al mio Paese: e io voglio riportare questo club ai fasti d’un tempo».
Tre maggio, l’appuntamento è fissato – e da quanto – e stavolta val la pena di curarsi, di visitarsi dentro innanzitutto con se stesso, per capirsi, per interrogarsi, per non lanciarsi avidamente contro il pericolo: però già l’Inter è ormai prossima per Higuain e le paure sono evaporate durante la Pasqua, complici i messaggi inviati dal corpo – dalla tibia e dal perone sempre meno doloranti – e dalla sensibilità nei movimenti.

L’incidente. Ma è stato un attimo di terrore, giovedì 17 aprile: il contrasto nell’allenamento, il rumore sordo del contatto, la fitta lancinante, la scelta di andare subito in clinica, accompagnato dallo staff medico, per mettersi l’anima in pace ed allontanare qualsiasi blanda preoccupazione. «Contusione» : e vabbé, c’è di peggio per chi in ottobre ha deambulato ai margini di se stesso, avvolto il quell’accidente misterioso che l’aveva tenuto fuori a Londra (contro l’Arsenal) e poi con il Livorno e per oltre un’ora proprio all’Olimpico con la Roma.
Tornò (quasi) ad essere Higuain con l’Olympique Marsiglia, quando s’inventò un ««no look» per spedire in porta Callejon; si riprese la scena con la doppietta al Torino su rigore che chiuse il digiuno di trentacinque giorni e spense pure ogni sospetto.

Pronto. Ma stavolta è stato un banale e però indigesto tackle, quelli che in genere restano lì e che invece ha steso Higuain, la spedito fuori dall’elenco dei convocati per Udine ed è servito per spargere quel filo di pathos su una vigilia interminabile, cominciata chissà quando, però già viva. «Ma ce la farò». Ci sono partite a cui è impossibile resistere.

La Fiorentina ha bisogno di Rossi. Anche Rossi ha bisogno della Fiorentina, ma adesso è più forte la necessità della squadra. La Fiorentina ha bisogno di Rossi per la finale di Coppa Italia perché ora è chiaro che senza attaccanti veri i gol arrivano di rado. Non basta il gioco (quando c’è), ci vogliono gli esecutori. Era già chiaro prima, però con qualche eccezione. Nel lungo periodo in cui sono mancati Rossi e Gomez ci sono state alcune partite che la Fiorentina ha vinto segnando bene e tanto: contro il Chievo e il Verona per citare due gare più recenti. Ha incontrato difese non molto salde e ne ha approfittato. Ma quando si è imbattuta in squadre più organizzate ha faticato a fare gol, soprattutto in casa. Nelle ultime 4 partite ufficiali al Franchi ha segnato 2 reti (all’Udinese) e per 3 volte (Roma, Milan, Juve in Europa League) è rimasta all’asciutto. Per capire quanto sia stata pesante l’assenza di Rossi basterebbe ricordare che in campionato Pepito segnò una tripletta contro la Juve.

La settimana decisiva. Come condizione, Rossi è più avanti di Gomez. Lo è stato fin dall’inizio della stagione, anche quando Pepito doveva ancora stabilizzare il suo ginocchio perennemente instabile. E’ questione di fisico. Quel fisico che potrebbe aiutare Giuseppe nell’ultimo capolavoro di volontà e passione: tornare in campo sabato prossimo a Bologna.
Oggi inizia la settimana decisiva. Se Rossi ce la fa per Bologna, anche solo per rimettere piede in campo, allora la finale di Coppa Italia del 3 maggio contro il Napoli diventa un obiettivo concreto. «Fa già i cambi di direzione in corsa, ma solo quelli programmati, si piega quando lo decide lui. Ora dobbiamo capire come si comporterà quando sarà l’avversario a costringerlo a un cambiamento repentino», ha spiegato sabato sera Montella. La testa di Pepito.
Non dipende tutto da quel ginocchio, ma anche dalla testa di Rossi. Siamo di fronte a un caso unico, Giuseppe si è fatto male di continuo, si è operato, è stato fermo due anni, è rientrato e si è fermato di nuovo. Sono 4 mesi che non gioca, sa che ogni piccolo rischio va evitato. Deve mediare fra la voglia di tornare e l’esigenza di non farsi male un’altra volta. Deve cercare un equilibrio che solo un ragazzo equilibrato come lui può trovare. Non sarà facile, lo sa il giocatore, lo sa Montella, lo devono sapere i tifosi e tutti quelli che aspettano il ritorno in campo del miglior attaccante italiano, ma la possibilità c’è, adesso sappiamo anche questo.

L’attesa di Prandelli. Rossi vuole il Mondiale e questa è una motivazione in più, peraltro molto forte. Se gioca la finale, Prandelli lo inserisce nella lista dei 30 nomi che ogni federazione deve consegnare alla Fifa il 13 maggio, vale a dire 10 giorni dopo la finale contro il Napoli. Poi, durante il ritiro di Coverciano, deciderà se infilarlo anche fra i 23. Ma se non gioca quella partita, se non fa almeno un tempo, diventa molto difficile per il ct valutare le sue condizioni. Dal 3 maggio, giorno della finale, al 13 maggio, giorno della consegna della lista azzurra, ci sono due sole partite di campionato, è poco per una valutazione precisa.

Fonte: Corriere dello Sport
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