Cinque indizi su sei fanno una prova: altrochè. E rileggendo ciò ch’è stato, andando a scovare a ritroso nei precedenti, rivedendo (mentalmente) le scene più fresche del passato, avvertendo le bruciature più sensibili subite, notando certe sfide altrui, Stefano Pioli è spuntato fuori dal san Paolo e dal Bentegodi e dal Dall’Ara, dai suoi «capolavori» utili per ricamargli addosso l’etichetta di anti-Mazzarri per eccellenza: perché i numeri avranno un’anima o forse no, ma chi se ne frega, però le statistiche e la memoria qualcosa suggeriscono. Pioli: quello di Napoli 1, Chievo 3, un mercoledì d’una serata «sciccosa»; e anche quello di Chievo 2, Napoli 0, un’altra infrasettimanale, un’altra genialata, stavolta con la difesa a tre – a specchio – i due esterni che si abbassano e gli interni che vanno addosso ai portatori di palla. Stefano Pioli, certo: proprio quello dell’1-1 a Fuorigrotta; poi del 2-0 a Bologna, onestamente (ed economicamente) più fatale di Verona, perché a due giornate dalla fine costò la Champions.
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