E’ sempre lui, il Petisso. Il pensiero veloce e la voglia di parlare, mille ricordi e la battuta pronta e divertita. Un ragazzo. Un ragazzo nato nel ’25 a Buenos Aires, sbarcato in Italia nel ’47 e arrivato a Napoli nel ’52. Doveva starci un paio d’anni, invece non se n’è andato più. «Sono un napoletano nato all’estero» , racconta Bruno Pesaola, ripresosi meravigliosamente da un’entrata a gamba tesa del tempo che passa e sempre aggiornatissimo sui fatti del pallone. Quelli del Napoli soprattutto, ma anche quelli del Novara. Perché dopo l’esordio con la Roma e prima del trasferimento a Napoli, fu proprio a Novara che giocò per due stagioni. Poco più di sessant’anni fa. Più o meno lo stesso tempo che ha impiegato il Novara per tornare in A.
E allora, rieccolo, il Novara caro signor Petisso. Le dice qualcosa quel nome, quella maglia?
«Qualcosa? Mi dice moltissimo. Furono due anni stupendi quelli di Novara. Venivo da due terribili fratture, dovevo passare dalla Roma alla Lazio quell’anno, ma il medico della Lazio disse che dovevo operarmi un’altra volta perché la tibia non stava bene in asse. Gli dissi che era pazzo. Non sapevo quale sarebbe stato il mio futuro, ma così gli dissi».
Fu la sua fortuna…
«Già. Ricevetti un telegramma. Era di Silvio Piola. Mi scrisse: viene a Novara a provare se la gamba regge. Ci andai. Giocai due amichevoli in campi dove il fango arrivava alle caviglie, andò tutto bene e rimasi lì. Con me accanto, a trentott’anni Piola segnò 22 gol. Novara mi è rimasta dentro. Anche perché là conobbi Ornella, la fantastica donna che poco dopo avrei sposato».
E fu proprio lei, miss Novara, che la convinse a trasferirsi al Napoli, fu così?
«Sì, potevo scegliere tra l’Inter e il Napoli e scelsi il Napoli per lei. Firmai, mi sposai, andammo in viaggio di nozze a Positano e poi mi presentai al raduno azzurro all’hotel Parker’s».
Al Novara andarono 33 milioni. Una bella cifra per quei tempi.
«Questo in verità non lo ricordo. Ricordo invece la trattativa per venire al Napoli. Incontrai il Comandante Lauro a Milano. Meno di cinque minuti e firmai il contratto».
Bene. Stasera, sessant’anni dopo, c’è Novara-Napoli.
«Che piacere rivedere il Novara in serie A. Ma questa è una partita che ha anche un gran significato per il calcio. Dimostra che quando si lavora bene, in campo e fuori, si ottengono grandi risultati. Novara e Napoli, infatti, soltanto qualche anno fa erano entrambe in serie C. Come dire che nel calcio tutto è possibile: anche che i sogni diventino realtà».
A proposito di sogni e di realtà: il Napoli è tra i primi sedici d’Europa?
«Fantastico. Il Napoli mi sta regalando grandissime emozioni. L’Uefa ha visto giusto quando ha allargato la partecipazione alla Champions League anche alle seconde e alle terze dei vari campionati. Ha reso la vecchia Coppa dei Campioni un torneo assai più interessante. Magari fosse stato così anche ai miei tempi. Ci avrei partecipato tre o quattro volte e non una soltanto».
Fu con la Fiorentina nel ’69.
«Sì. Ricordo la vittoria in Russia, a Kiev. Arrivammo ai quarti. E sa con quanti giocatori vinsi lo scudetto e poi feci la coppa dei Campioni? Con tredici giocatori soltanto».
E il turn over?
«Turn over? Non sapevamo neppure cosa fosse. Quelli erano e quelli giocavano. In campo sino alla morte. Oggi, invece, gli allenatori hanno a disposizione rose di trenta giocatori e si lamentano pure. Passiamo oltre, per favore».
Parliamo di Lavezzi.
«Sì, mi fa piacere. Questo ragazzo è il vero motore del Napoli. Un protagonista sempre. Anche quando sembra giochi male. Non è così: lui è sempre importante, sempre fondamentale. E poi ha rapidità, ha fantasia. Insomma, è interprete di un calcio che piace e che diverte. Per questo e non solo perché è argentino io l’adoro. Se fossi l’allenatore del Napoli farei questo discorso a De Laurentiis: caro presidente, sino a quando sto io qui, Lavezzi non si tocca. Quando avrà trent’anni penseremo a venderlo. Forse».
E del Napoli, invece, cosa pensa?
«E’ una squadra moderna. Ben allenata e ben messa in campo. Trovo straordinario il lavoro di Cavani per la squadra. Mi piace molto anche Hamsik, ma direi che tutti stanno facendo bene».
Mazzarri lo conosce?
«No. Ma non ho bisogno di conoscerlo per apprezzare il suo lavoro. E’ bravo e ha fatto cose egregie anche prima di venire qui».
E’ vero. Ed è quasi maniacale la sua dedizione al calcio. Ma il calcio è davvero diventato così esigente, così tanto ansiogeno, oppure Mazzarri e tanti altri allenatori farebbero bene, di tanto in tanto, a ridere anche del pallone?
«Il calcio è un mestiere e come tale comporta delle responsabilità. Quindi, va fatto seriamente».
Però?
«Però per me è stato sempre anche un gran divertimento. Perché il calcio è divertimento. Ma secondo lei, Maradona avrebbe mai potuto fare quel che ha fatto con una faccia triste?».
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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