Se pensi che vivendo il calcio da lontano si perda qualcosa del pallone sei in errore. Bruno Petisso Pesaola, infatti, sa tutto. Guarda, legge, segue. E anche se allo stadio da un pezzo non ci mette piede, il calcio continua a fargli bella compagnia.
E allora, Petisso, come va?
«Bene. Bene. La salute è eccellente. Solo le gambe mi danno problemi. In passato hanno corso troppo e ora sono stanche. Ma non mi lamento. Sa com’è: vado per gli ottantotto».
E le sigarette? Ci ha litigato definitivamente oppure?
«Oppure niente. Sono due anni che non ne accendo una. Dopo aver fumato tanto credevo che smettere sarebbe stato complicato. Invece no. Ci sono riuscito abbastanza facilmente. Questione di volontà? Boh. Chissà. Ho avuto momenti assai difficili e a volte penso che sia stata soprattutto la paura ad avermi aiutato a dire addio alle sigarette».
Al Napoli, invece, non si dice addio.
«E come potrei. Oltretutto, questo Napoli mi piace. Anche se ancora non completo, mi piace veramente tanto».
Che vuol dire: “non completo”?
«Vuol dire che avendo quei tre ragazzi eccezionali là davanti, se solo riuscisse ad avere una difesa più protetta potrebbe essere davvero la favorita nella corsa allo scudetto. Intendiamoci: così com’è può sperare, può lottare, ma se penso al tricolore, oggi il Napoli non è la prima squadra che mi viene in mente».
Spieghi meglio: problema di uomini o di disposizione in campo?
«Di disposizione. A volte il Napoli commette errori imperdonabili. E sa perché? Perché spesso gli manca un uomo libero da marcature capace di andare a chiudere sull’uomo al momento giusto».
Caro Petisso, non starà pensando ad un libero di ruolo.
«No. Almeno, non a un libero vecchia maniera. Però di un uomo all’occorrenza capace di trasformarsi in libero, sì. Permette che sia io a fare una domanda? Ebbene, se contro l’Inter ci fosse stato un giocatore capace di interpretare quel ruolo in quel momento, Guarin quel gol l’avrebbe mai segnato»?
Giusto. Ma sarebbe bastato solo questo per non perdere a San Siro?
«Non lo so. Nel calcio vince chi sbaglia di meno e per questo ha vinto l’Inter. Il Napoli, infatti, con Cavani e Maggio s’è divorato due gol praticamente fatti».
Insigne l’appassiona?
«Il ragazzino è bravo. Ha talento. Giocate eccezionali. A Milano meritava il gol su quel destro a giro bello, coraggioso e persino impertinente».
Torniamo al campionato. La Juve l’ha già vinto? Campionato e coppa Italia:
il Napoli contro il Bologna due volte in quattro giorni. Per lei saranno ricordi e sentimenti?
«Sì. Anche il Bologna è stata una mia squadra. L’ho allenata per sei campionati. Conti, il presidente di allora, mi chiamò e mi disse: ho preso questo club che nessuno voleva perché pieno di debiti e ho fatto una scommessa con me stesso: rimetto in ordine i conti, resto in A e poi vado via. Lo facciamo insieme? Accettai e cominciammo subito a vendere: Savoldi, poi Pecci, poi Fedele. Alla fine della mia avventura bolognese avevo garantito la serie A, avevo fatto esordire quindici o sedici ragazzi della Primavera e avevo vinto anche la coppa Italia. Una bella storia, no»?
A proposito di belle storie: Cavani ne sta scrivendo una niente male. A chi l’accosterebbe del passato?
«A Vinicio. E a Careca in un passato più recente. Anche se per caratteristiche e per capacità atletiche mi ricorda molto un altro grande: Alfredo Di Stefano, con il quale ho giocato da ragazzo nelle giovanili del River. Cavani ha doti atletiche davvero straordinarie: attacca, difende davanti al suo portiere e un momento dopo è già dall’altra parte per segnare. Ecco perché dev’essere assolto se poi sbaglia un gol».
Allenatori. Tra i nuovi chi è che trova interessante?
«Stramaccioni. Ha stile. Si presenta bene. E’ simpatico. Ma uno che vince non ispira mai troppe simpatie».
Se invece dovesse dare un consiglio a Walter Mazzarri che cosa gli direbbe?
«Per carità, niente consigli. Però una cosa gli direi. Gli direi: forza ragazzo, un poco d’allegria anche quando le cose non vanno come si vorrebbe non guasterebbe affatto. Non si può essere sereni quando si vince e incavolati quando si perde. Rispetto alla squadra e alla gente un allenatore deve avere una sola faccia: quella che anche nei momenti neri deve trasmettere fiducia e tranquillità».
Scudetto a Firenze nel ’69, coppa Italia col Bologna nel ’74 e con il Napoli un’altra coppa Italia nel ’62 però giocando in serie B: cosa che poi non è riuscita più a nessuno. Ci ha mai pensato: ha vinto sempre e solo con squadre fuori dal giro delle grandi. Una stranezza. Li giudica successi che valgono di più?
«Macché. Se è vero che ho vinto con squadre mai partite favorite, è vero pure che non credo d’aver fatto cose straordinarie. Non è modestia. Non mi lamento e sono orgoglioso di tutto quanto ho fatto».
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
Condividi:
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su Ok Notizie (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pocket (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Altro