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“Perché la sentenza su Grava e Cannavaro è giuridicamente sbagliata”

Il giurista Guido Clemente di San Luca spiega gli errori in questa vicenda e perché non è assimilabile a quella di Conte

A prescindere dalla iniquità dell’ordinamento sportivo e delle sue norme (un dato pacifico), e dalle discutibili strategie processuali assunte dalla difesa del Calcio Napoli (sulle quali, peraltro, si può anche discutere, ma non senza considerare che chiedere il patteggiamento, pur consentendo di mitigare la sanzione, avrebbe di fatto, oltre che imposto di rinunciare a dimostrare la radicale innocenza di Cannavaro e Grava, gravemente nuociuto all’immagine della società), la sentenza della Commissione Disciplinare è giuridicamente sbagliata. Vi spiego perché.

Stante il quadro normativo vigente, per quel che attiene alla fattispecie concreta concernente le vicende relative alla partita Sampdoria-Napoli, la Commissione Disciplinare doveva stabilire se effettivamente vi fosse stato: a) un illecito o tentativo di illecito; b) la omessa denunzia dell’illecito o del tentativo, da parte di chi, affiliato FIGC, ne fosse venuto a conoscenza; c) la sussistenza della responsabilità oggettiva della società di appartenenza degli affiliati FIGC coinvolti.

Ai presenti fini interessa marginalmente l’accertamento di cui alla lett. a), perché il punto saliente è quello di cui alla lett. b), e, per conseguenza, quello di cui alla lett. c).

Nella decisione della CD si discute l’applicazione dell’art. 7, co. 7, C.G.S., che prevede per tutti gli affiliati l’obbligo di informare «senza indugio» la Procura federale della FIGC di ogni ‘notizia di illecito’ della quale siano venuti a conoscenza; ma anche dei co. 2 e 4 dell’art. 7, nonché dei co. 1 e 2 dell’art. 4, per quanto concerne la conseguente responsabilità oggettiva della S.S. Calcio Napoli2.

La norma di cui all’art. 7, co. 7, letteralmente dispone che tale obbligo incombe sugli affiliati «che comunque abbiano avuto rapporti con società o persone che abbiano posto o stiano per porre in essere taluno degli atti indicati ai commi precedenti» (e cioè illeciti o tentativi di illecito), «ovvero chesiano venuti a conoscenza in qualunque modo che società o persone abbiano posto o stiano per porre in essere taluno di detti atti» (e cioè sempre illeciti o tentativi di illecito).

Ora, dando per accertato il tentativo di illecito da parte di Gianello, la CD doveva quindi decidere se fosse dimostrato, o no, che Cannavaro e Grava erano venuti meno all’obbligo di denunciare il tentativo di illecito del quale sarebbero venuti a conoscenza.

Si tratta dunque, anzitutto, di capire quando, secondo la norma di cui all’art. 7, si deve considerare sussistente la «omessa denunzia»; e, in secondo luogo, di verificare se, nella fattispecie concreta, ricorre l’ipotesi prevista dalla norma3.

Alla CD, insomma, competeva di stabilire se la fattispecie astratta di «omessa denunzia» si sia realizzata in concreto con riferimento alla partita Sampdoria-Napoli, e cioè se Cannavaro e Grava fossero effettivamente venuti a conoscenza di una ‘notizia di illecito’. Questo e non altro avrebbe dovuto accertare l’organo giudicante; e questo non ha fatto, esprimendosi invece, nel condannare, per affermazioni apodittiche ed assertive.

Nella decisione, infatti, si dichiara che Cannavaro e Grava hanno violato la norma, «omettendo di denunciare i fatti riguardanti la gara Sampdoria-Napoli e, in particolare, la proposta formulata dal compagno di squadra Gianello», senza spiegare come si perviene ad una tale affermazione.

Le domande cui l’organo giudicante non risponde in alcun modo sono le seguenti: di quale proposta si tratta? In quali circostanze ed in che termini essa sarebbe stata formulata? Gianello – è scritto, ad esempio, nella decisione – ha dichiarato di «aver scelto l’occasione di un allenamento per rivolgersi ai compagni di squadra Cannavaro e Grava»: si è andati oltre la assoluta vaghezza della dichiarazione, per verificare una siffatta circostanza? Di quale allenamento si tratterebbe? Ebbene, dalla decisione ciò non è dato sapere, semplicemente perché l’istruttoria non è stata in grado di dimostrarlo.

Da quel che si legge nel testo della decisione, la CD, avendo «maturato il convincimento che i calciatori Cannavaro e Grava, contattati da Gianello, pur rifiutando l’illecito, abbiano omesso di informare tempestivamente la Procura federale», afferma che così «è confermata la violazione contestata dell’art. 7, comma 7, CGS».

Ma ci si deve chiedere – è questo il punto – come, sulla base di quali elementi, essa sia pervenuta a ‘maturare’ detto convincimento.

Ebbene, dalla decisione risulta che il solo elemento in tal senso sia la «attendibilità di Gianello», che la CD dichiara di ritenere «riconosciuta» in maniera del tutto assertiva, senza cioè addurre alcuna dimostrazione in relazione alle dichiarazioni del ‘delatore’ concernenti Cannavaro e Grava.

Relativamente a quanto Gianello dichiara su Cannavaro e Grava, non possono in alcun modo considerarsi prova della sua attendibilità le intercettazioni telefoniche cui fa riferimento la decisione; e nemmeno la deposizione/denuncia resa dal ‘camuffato’ (perché operante sotto mentite spoglie) ispettore di P.S.

Le richiamate intercettazioni, anzi, se, per un verso, sono utili allo scopo di confermare il tentativo di illecito da parte di Gianello, per altro verso, escludono ogni coinvolgimento di Cannavaro e Grava, mai risultando da esse il benché minimo riferimento ai due.

Quanto, poi, alla deposizione/denuncia dell’ispettore, occorre ragionare in maniera più articolata. Ammesso e non concesso che essa sia idonea a costituire un riscontro capace di fondare l’accusa (si tratterebbe della stessa fonte – Gianello – e dunque inidonea a costituire un valido riscontro), non si può trascurare che, sul piano giuridico, la deposizione/denuncia comunque non è allo scopo utilizzabile.

Se è vero, infatti, che l’ispettore riferisce che Gianello gli avrebbe confidato «di aver contattato i compagni di squadra Cannavaro, Grava e Quagliarella allo scopo di raggiungere un’intesa per un risultato a favore della Sampdoria, ma di aver ricevuto un netto rifiuto» (ma anche – a quanto sembra – altri due compagni di squadra, visto che nella decisione si legge che Gianello avrebbe escluso «di aver parlato con Santacroce, De Sanctis e Quagliarella»); così come è vero che Gianello – dopo una prima evidente riluttanza – abbia confermato (non senza essersi contraddetto, peraltro, nelle dichiarazioni rese in diversi, successivi, momenti) «esclusivamente i contatti con i calciatori Cannavaro e Grava».

È altrettanto vero, però, che Quagliarella non viene deferito: ciò dimostra che la Procura Federale e poi la CD non hanno riconosciuto attendibilità alle dichiarazioni rese dall’ispettore. Delle due l’una: o la deposizione dell’ispettore è credibile, e allora avrebbe dovuto essere deferito – e condannato – pure Quagliarella; oppure, visto che Procura e CD hanno ritenuto diversamente, almeno limitatamente all’accusa nei confronti di Cannavaro e Grava, non si può ritenere l’ispettore attendibile solo in una parte della sua deposizione/denuncia, e dunque questa giuridicamente non si può considerare come un riscontro delle dichiarazioni di Gianello.

In definitiva, dalla decisione si ricava che l’istruttoria non ha affatto dimostrato la veridicità della proposta di illecito avanzata da Gianello a Cannavaro e Grava. Né tale veridicità può ricavarsi dalle deposizioni di questi ultimi, perché, seppure non escludono che Gianello possa aver fatto riferimento, durante gli allenamenti, alla ipotesi di ‘truccare’ la partita, essi dichiarano che il tono e i modi usati non lasciavano pensare si trattasse di una realistica proposta di illecito, bensì di frasi pronunciate ioci causa, meritevoli come tali di una considerazione di irrilevanza e di una risposta tanto ferma quanto dello stesso tono (di quelle che, per intendersi, nella vita comune si riassumono icasticamente nella locuzione: «non dirlo nemmeno per scherzo!»).

Ed infatti, Grava – come è riportato nella decisione – ha dichiarato di non escludere «che Gianello abbia potuto nel corso della settimana fare a me e ad altri compagni di squadra battute scherzose circa il fatto che ormai fossimo già in vacanza o qualcos’altro di simile». E testualmente afferma: «Intendo precisare che a considerazioni del genere non avrei dato alcun peso, vista la serietà che mi contraddistingue, intendendole come riferimenti scherzosi ragion per cui non ho un ricordo nitido della circostanza». A sua volta, Cannavaro – sempre secondo quanto è riportato nella decisione – ha dichiarato: «se (Gianello) avesse fatto battute in tal senso non gli avrei dato alcun peso, perché le avrei ritenute uno scherzo come tanti fra compagni».

Nemmeno è sostenibile l’argomento che, per le restanti affermazioni di Gianello, risultino effettivi riscontri; anzi, questo è argomento che sta a provare l’esatto contrario. Quante volte è capitato che un pentito abbia dichiarato, fra cose veritiere, anche autentiche fandonie, e per le ragioni più varie (consentire attenuanti o aggravanti relativamente ad altrui posizioni processuali, ovvero far tornare conti che altrimenti non tornerebbero, ecc.): si può, ad esempio, escludere con certezza che Gianello abbia ragioni di risentimento personale con Cannavaro e Grava? o, ancora, non potrebbe aver riferito che aveva parlato con i compagni soltanto per evitare di apparire ai suoi sodali come chi non ha ottemperato all’obbligo contratto?

In conclusione, di fronte ai fatti di cui disponeva, la CD non avrebbe potuto far altro che prosciogliere Cannavaro e Grava: contro la loro parola, infatti, sussiste soltanto quella di Gianello, le cui dichiarazioni, fra l’altro, rese a più riprese nel tempo, sono tra loro non sempre coerenti. L’organo giudicante, viceversa, sostiene illegittimamente – perché in modo indimostrato ed arbitrario – che si tratta di «Dichiarazioni gravi perché tendono a togliere rilevanza e importanza al tentativo di illecito intervenuto considerandolo uno scherzo e nulla di più, ma senza escludere che Gianello possa averne parlato». Solo così, con un’affermazione apodittica e assertiva, la CD può giustificare la sua conclusione di colpevolezza per Cannavaro e Grava, valutando cioè le loro dichiarazioni con un giudizio assolutamente gratuito, in quanto basato su mere supposizioni non dimostrate dalla istruttoria. Semplicemente, l’organo giudicante mostra di fidarsi della parola di un conclamato truffatore e non di quella di due calciatori che, fino a prova contraria, hanno sempre tenuto comportamenti legittimi e virtuosi.

Insomma, l’istruttoria non ha provato che Gianello abbia detto quel che ha detto ai suoi compagni di squadra (non con tono scherzoso, ma) seriamente. Non v’è una testimonianza, una intercettazione che confermi l’assunto di Gianello: niente! Tutto si fonda sulle sole dichiarazioni del delatore, contro quelle di Cannavaro e Grava.

Per quel che concerne, infine, la responsabilità della S.S. Calcio Napoli, la decisione afferma, per certi versi ancor più apoditticamente, che «Alle responsabilità di Gianello, Cannavaro e Grava consegue quella oggettiva della soc. Napoli». E ciò essa fa (ai sensi degli artt. 7, co. 2 e 4, e 4, co. 2, del CGS, «in ordine all’addebito contestato al proprio tesserato Gianello», ed invece ai sensi dell’art. 4, co. 1 e 2, del CGS, «in ordine agli addebiti contestati ai propri tesserati Cannavaro e Grava») senza rendere alcuna spiegazione delle relative ragioni.

Certo, potrebbe obiettarsi che il tenore letterale delle norme non richiederebbe una spiegazione: all’accertamento della responsabilità del proprio tesserato dovrebbe automaticamente conseguire quella della società4. E tuttavia il principio della responsabilità oggettiva – come la stessa decisione riconosce – «negli ultimi tempi ha subito una serie di attenuazioni in via applicativa». Ciò dovrebbe implicare il dovere, in capo all’organo giudicante, di valutare caso per caso.

E nel caso in esame, una tale valutazione non sembra poter giungere ad una conclusione diversa dalla seguente: mentre, per quel che concerne gli addebiti di Cannavaro e Grava, risulta dimostrata la loro assoluta inconsistenza, per quanto invece attiene alla accertata responsabilità di Gianello, deve essere tenuto in considerazione – quale indiscutibile causa di ‘attenuazione’ della responsabilità oggettiva – il fatto che si tratta di un calciatore allora in imminente scadenza di contratto, che non aveva disputato una sola gara nella stagione. Nulla di più avrebbe potuto fare la società per impedire una sua eventuale attività illecita da compiersi nell’ambito delle prestazioni della squadra. Ed è evidente che solo a queste si può riconnettere la responsabilità oggettiva della società, certo non potendo configurarsi una responsabilità in vigilando per tutti gli altri comportamenti del suo tesserato.

Volendo allora tirare le somme di quanto illustrato, possiamo dire, in sintesi, che: a) Cannavaro e Grava non hanno commesso l’illecito di «omessa denunzia» e vanno prosciolti;b) Gianello è certamente responsabile degli addebiti ascrittigli; c) non sussiste la responsabilità oggettiva della S.S. Calcio Napoli perché, quanto a Cannavaro e Grava, non v’è alcuna loro responsabilità, e, quanto a Gianello, la sua accertata responsabilità, non attenendo alle prestazioni della squadra del Napoli, non è ascrivibile alla responsabilità oggettiva.

In ogni caso, seppure si volessero ribadire, nel secondo grado, le illegittime conclusioni cui è pervenuta la decisione del primo, non si potrebbe comunque perseverare nel comminare la penalizzazione al Napoli per la stagione in corso, seguendo l’aberrante giustificazione resa dalla CD: «Per garantire una uniformità di giudizio e una situazione dipar condicio fra squadre partecipanti allo stesso campionato attualmente in corso» – afferma l’organo giudicante – «appare corretta l’applicazione della sanzione di 2 punti di penalizzazione in classifica generale da scontarsi nella corrente stagione sportiva». Chiunque capisce che, al fine di garantire effettivamente la par condicio, è vero l’esatto contrario, perché le altre squadre che hanno sofferto una penalizzazione l’hanno subita all’inizio della stagione sportiva, e non nel pieno del suo svolgimento, così potendo regolarsi in modo adeguato. Al di là di quanto ho provato a spiegare, quel che fa veramente male è constatare la maniera impropria – per usare un eufemismo – con cui i media, dispiegando approssimazione e/o assai scarsa obiettività, hanno riferito di questa vicenda. Basti pensare alla diffusa assimilazione che di essa è stata fatta al caso del sig. Antonio Conte, allenatore della Juventus, al quale la derubricazione da ‘illecito sportivo’ a ‘omessa denunzia’ ha consentito di passare quasi per una vittima del sistema (di sicuro non essendolo). E certo non è casuale che, con le dichiarazioni rese alla stampa in favore del Napoli e di Cannavaro e Grava, lo stesso Conte abbia voluto alimentare una tale assimilazione (con conseguente profonda indignazione di coloro che hanno potuto capire come le due storie siano veramente andate).

Guido Clemente di San Luca (Ordinario di Diritto Amministrativo, Dipartimento di Giurisprudenza, Seconda Università di Napoli)

Fonte: Il Napolista.it

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