Quello che i medici ufficialmente non possono ancora affermare, lo suggerisce l’espressione (dolorosa) di Christian Maggio, al minuto 41 d’una nottata d’inferno: l’estasi è in quel san Paolo che già muove verso l’Olimpico di Roma, 2-0 sul Siena; ma il tormento, autentico, che sa quasi di disperazione, è negli occhi umidi d’un uomo che s’è dovuto arrendere dopo averle provate tutte ed aver resistito con fierezza, sperando di arrivare al capolinea di quella partita. Ora ch’è finita, a caldo, si può sospettare che si tratti di “distrazione di primo grado e dunque lesione al bicipite femorale della coscia sinistra”; ma a freddo, lasciata scivolare via la rabbia, è semplicemente inevitabile andarsela a prendere con il destino cinico ed anche un po’ baro che in sette giorni sette si è accanito contro il cursore di destra.
L’ALTRA GAMBA – Londra non c’entra, là fu tutta colpa di un’entrata di Sturridge: e la diagnosi, al rientro, «forte contusione alla zona tibiale della gamba destra», è ormai alle spalle di Maggio, della sua ostinazione per giocarsi la semifinale con il Siena, sistemandosi magari un parastinco speciale. Stavolta a cedere è la sinistra, che comincia a preoccupare il mediano – lanciatissimo nell’avvio – e poi lo costringe ad alzare le mani, ad uscire tra lacrime che sono di sofferenza e però anche di rabbia, perché s’è capito che bisognerà starsene un po’ a riposo. E da un mercoledì all’altro, e poi dalla Champions alla Coppa Italia, la sorte che si scatena e lo manda due volte fuori.
LO STOP – Le lastre servono per avere un quadro preciso della situazione, per non spingersi nella disperazione ancor prima che si siano avute certezze: però, nello stanzone, quando la finale è già stata congelata e il 20 maggio è diventata una data da cerchiare d’azzurro, passa Mazzarri e intuisce; passa il dottor De Nicola e lascia ondeggiare il capoccione; si alza Maggio e preferisce tacere, perché tanto ognuno di loro è padrone del proprio corpo e sa bene cosa ci sia all’orizzonte. A naso, servirà tirare il freno a mano per un mesetto, e dunque il calendario che ognuno conserva nella testa comincia a depennare le partite che verranno: con il Catania, inevitabilmente; e se stamani gli accertamenti dovessero confermare le prime sensazioni, niente Juventus, all’Olimpico di Torino; e niente Lazio, nell’anticipo del sabato santo; e poi, a seguire, niente Atalanta nel turno infrasettimanale, né tantomeno il Lecce, che potrebbe essere la linea di demarcazione. In sintesi, almeno cinque partite, con le mani giunte per pregar d’anticipare i tempi del rientro.
EMERGENZA – E allora, diviene emergenza sugli esterni; così come c’è nel mezzo del campo: a disposizione, a destra, rimane Zuniga e a sinistra c’è Dossena, con la soluzione estrema, nel caso di turn over irrinunciabile, di risistemare Aronica come quarto di metà campo, ruolo ricoperto non solo alla Reggina ma nella prima stagione partenopea di Mazzarri. Napoli-Siena è una festa che nello spogliatoio viene però un pochino rovinata dall’avvilimento di Maggio, dalla consapevolezza che in questa corsa pazza verso il terzo posto sarebbe servita la sua corsa, in quella frase secca, intrisa di amarezza, soffiata alle orecchie dei compagni che gli sono intorno, in processione, per capire: «Ragazzi, non ci voleva».
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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