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Per Lavezzi sono lacrime e baci

Sul Pocho ci sono tante pretendi italiane e straniere

Le lacrime che inondando l’Olimpico e trasformano il calcio in una pagina da libro «Cuore» in chiave napoletana rappresentano la dichiarazione d’amore, accada quel che accada, d’un uomo che s’è concesso per cinque anni e ora è lì, travolto dall’emozione, in preda ad una crisi di pianto, a riprendersi la «sua» città per una notte, mostrandole quel che c’è dentro uno scugnizzo come gran parte dei trentamila che ora l’abbracciano simbolicamente. «Pocho, pocho» . Il Lavezzi ubriaco, stordito, poi scatenato che sale sull’inferriata commosso e senza freni inibitori, quell’indiavolato che sta urlando al cielo il suo senso d’appartenenza per la Napoli che ne ha fatto un idolo e ora il totem di quella folla che ha rimosso l’amarezza per un probabile divorzio e che ora non ha occhi e cori che per lui. La serata delle stelle è la sua nottata tormentata, persa tra gli abbracci di chiunque, innanzitutto di Cavani e Hamsik, i tenori d’una favola struggente: alle 22.22 – come se il destino avesse voluto scegliere seguendo l’ispirazione d’una maglia, la magia è nel senso di distacco che si compie, perché quel saluto ai soci della premiata ditta del gol con i quali ora si potrà festeggiare bevendo dalla coppa Italia, sa di addio. Il suo grazie è in quella sfilata lenta he è ispirata dagli affetti, dalla ricerca di Zuniga, la sua anima gemella con la quale s’è divertito un sacco, dall’abbraccio con Mazzarri che lo bacia come si farebbe con un figlio al quale non puoi non volerb bene anche se ti ha fatto arrabbiare.

LO STRESS – La panchina è il suo rifugio in cui perdersi nella propria memoria, scovare negli anfratti di Napoli conosciuta da debuttante in serie A e trasformata in protagonista del calcio italiano e poi in irriverente guascone della Champiosn: cinque anni, un terzo posto, due qualificazioni in Europa League, soprattutto l’etichetta d’erede di Diego che ha sempre rifiutata ( «perché lui è stato e rimane un Dio mentre io sono semplicemente un giocatore di calcio» ) ed un drappo di soddisfazioni che restano, a prescindere, perché sono pieni di lui e l’Olimpico tinteggiato d’azzurro non dimentica, lo invoca, lo osanna e attende che l’arbitro fischi per ricordarglielo. Ed è quello il momento in cui la tensione esplode e l’uomo può liberarsi di un grumo di stress covato nel silenzio, mentre intorno il Psg e l’Inter e il Chelsea e l’Anzhi lo circondano: ma c’è il passato che ha un peso e ci sono i richiami della memoria che lo travolgono, che lo spingono ad inseguire Gargano – un fratellino – e poi ancora Hamsik e poi, di corsa, la curva ch’è stata sua.
IL DELIRIO – Oje vita, je vita mia è la colonna sonora di Napoli e mentre intorno c’è soltanto spazio per la frenesia più assoluta, Lavezzi ha rigurgiti umanissimi ma a gridare parole dolci ai suoi fans, li avverte stavolta e li arringa, percepedone il delirio di massa che si mischia a ‘o surdato nammurato con «oh pocho, pocho pocho» . Chissà mai cosa succederà tra le pieghe del mercato e però l’Olimpico testimonia per l’ennesima volta cosa sia Napoli per Lavezzi e cosa rappresenti Lavezzi per Napoli, in quel poster della felicità ch’è rappresentato dalla espressione ormai libera e naturale del pocho, nei suoi slanci da fanciullo che inseguono gli sguardi della Nord per sedurla ancora una volta. Ci sono amori che non tramontano mai.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
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