Mazzarri dice che gli stadi non contano. Forse sarà come dice lui, ma per chi è nato con le figurine, la t.v. in bianco e nero, le immagini perennemente avvolte in una fitta nebbia, i Miti che si nutrivano di lontananza e non di visibilità, un po’ come Greta Garbo che diventò ancora più grande quando sparì dalle scene, l’ultima partita in questo stadio è un momento da ricordare, la pagina del capitolo finale di un romanzo. Dopo c’è solo l’indice e il prezzo di contro copertina. In questo stadio Pelè è diventato Pelè, l’attaccante da oltre mille gol, l’icona di quel calcio moderno che arrivava nelle case seppur centellinato come il vino buono, un grande Barolo, uno straordinario Amarone. Questo è stato uno stadio per Grandi. Uno stadio per gente come Edinson Cavani. Se cercate la storia, stasera sintonizzatevi: lo stadio che aprì un brasiliano, potrebbe chiuderlo, trionfalmente, un uruguaiano.
No, Mazzarri, gli stadi contano perché sono i contenitori di quel sentimento che attraversa il corpo e l’anima di tutti coloro che amano il calcio come racconto di vita, come storia dell’uomo, come l’espressione di quel motore invisibile e inesauribile che spinge ad andare oltre: i confini, le difficoltà, la paura, le delusioni. Tocca al Napoli chiudere questo capitolo. Ed essere degno di questa chiusura. Come lo è stato Pelè.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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