Delusione, più che rabbia. E per smaltirla, per mettersi alle spalle l’esperienza amara dell’addio al Gubbio, Fabio Pecchia se n’è tornato a casa. Lenola, provincia di Latina, a metà strada tra Napoli e Roma. Un’ora, un’ora e mezzo d’auto da casa sua al San Paolo. Tant’è che domenica aveva deciso d’essere a Fuorigrotta per Napoli-Juve. Poi il rinvio, il cambio di programma, ma soprattutto lo stupore davanti alle polemiche seguite alla decisione del prefetto.
E allora, inutile chiedere come la pensa Pecchia?
«Tutte queste storie non le capisco proprio. A chi dice che non far disputare la partita è stata un’esagerazione rispondo che è meglio esagerare che poi piangere per una possibile tragedia. Insomma, queste polemiche le trovo inopportune».
Un passo indietro. Tre settimane fa?
«Tre settimane fa allenavo il Gubbio. Una bellissima esperienza finita male e troppo in fretta. Essere andato via è stato ed è ancora un enorme dispiacere».
E’ stata anche un’ingiustizia?
«Non lo so. Cert’è, quando dissi sì al Gubbio, squadra di quasi tutti giovani esordienti in serie B, mi fu chiesta la salvezza e basta. Magari, mi fu detto, anche all’ultimo minuto dell’ultimo play out. Quando sono stato costretto ad andar via, la squadra era in linea con questi obiettivi. Ci saremmo salvati, ne sono sicuro».
Vogliamo parlare anche della coppa Italia?
«Se è per aggiungere amarezza ad amarezza, se ne può pure parlare. Battuti il Benevento e addirittura l’Atalanta, nel terzo turno il Gubbio se la vedrà con il Cesena. E il seguito lo conosco bene: dovesse superare anche il Cesena, cosa che reputo possibile, negli ottavi incontrerebbe il Napoli. Che cosa avrei pagato per tornare al San Paolo da allenatore, seppure da avversario degli azzurri. Invece?»
Il Napoli. Ci siamo arrivati. Che cosa pensa della sua doppia vita: luccicante in Champions e mezzo arrugginito in campionato?
«Lo trovo normale. E’ il prezzo che si paga quando non si è abituati a un doppio e severo impegno. Da qualche parte si deve cedere qualcosa. E’ inevitabile. Succede anche a squadre abituate a giocare sui due fronti».
Ma che vuol dire essere o non essere abituati al doppio impegno? Non è piuttosto un problema di ampiezza e di qualità della rosa a disposizione di un allenatore?
«Anche questo è vero, ma se si gioca contemporaneamente in campionato e Champions è fondamentale anche la gestione dello stress. Ovvero, della fatica psicologica più ancora che di quella fisica. Ebbene, chi ha l’abitudine a farlo è sicuramente avvantaggiato».
Può darsi. Ma il Napoli per quantità e qualità dei suoi giocatori è strutturato a dovere per reggere il peso della doppia stagione?
«Non c’è squadra al mondo che non possa essere rafforzata, migliorata. A me, comunque, il Napoli non dispiace neppure com’è ora. E poi, eventualmente dove intervenire? In difesa? A centrocampo? Sì, se la proprietà deciderà di farlo potrà farlo. In attacco, invece, è più difficile. Quali calciatori più forti o più determinanti di Lavezzi e Cavani potrebbero essere ingaggiati già al calciomercato di gennaio?»
Intanto, in campionato il Napoli ha accumulato già ritardo, andando avanti così non rischia di finire troppo indietro?
«Di questo non mi preoccuperei. Il campionato è solo a un quarto del percorso e c’è tempo per far meglio. L’impegno immediato, decisivo, senza appello, è invece quello con il Manchester City. Vale il passaggio del turno e inevitabilmente i pensieri e la preparazione della squadra ora saranno indirizzati tutti nella direzione della Champions».
Campionato. E’ davvero il Milan il grande favorito?
«Sì, è quello che penso. E’ una di quelle squadre abituate ai doppi e tripli impegni. Sa gestire bene, come ha fatto anche in questo avvio di stagione, i momenti complicati e sa superarli. Sì, è il Milan la squadra da battere».
Chi mette in fila alle sue spalle?
«Il Napoli, non v’è dubbio. Ma anche l’Inter che sono sicuro si riprenderà. E poi la Juve che, senza impegni europei, farà impazzire tutti. Ancora? Beh, allora la Lazio che mi piace molto. Comunque, ci sarà da divertirsi perché c’è equilibrio e l’equilibrio rende tutto incerto e appassionante».
Conte o Mazzarri, chi le piace di più come allenatore?
«Non ci casco. Ma è anche facile non cascarci perché in fondo si somigliano parecchio: grandi lavoratori sul prato, meticolosi, di carattere forte e capaci di dare alla squadra una precisa identità di gioco. Li stimo davvero tutti e due. Forse, come allenatori, l’unica differenza sta in quel pizzico d’esperienza in più che ha maturato Mazzarri sino ad oggi».
E invece Pecchia allenatore non ancora quarantenne a chi s’ispira? A chi ha provato a rubare i segreti del mestiere?
«Me la posso cavare con una battuta? E allora, a giudicare da quello che mi è successo a Gubbio, delle due l’una: o come ladro valgo veramente poco, oppure ho sbagliato allenatore a cui rubare».
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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