Dell’«Avvocato» come lo chiamavano i suoi colleghi quando era calciatore è rimasta la laurea pregiata e meritata. Ma nella sua vita post-agonistica il pallone è rimasto al primo posto in classifica. Fabio Pecchia (41 anni) è un’altra delle scommesse vinte da Rafa Benitez che l’ha voluto come suo vice un anno fa al suo arrivo a Napoli. Gran lavoratore, saggio e riflessivo l’ex-centrocampista con il vizio del gol (50 quelli segnati nella sua carriera) sta crescendo in maniera esponenziale al fianco del Grande Rafa dopo aver già guidato, con profitto, Gubbio e Latina.
Buongiorno Fabio. Ci racconta lo stile Benitez?
«Ha una straordinaria cultura del lavoro applicata al calcio. Riesce a lavorare 25 ore su 24, non stacca mai… A me piace molto il suo modo di essere e di fare. Ha metodo, se lo segui ti fa capire tante cose».
Cosa piace a Benitez di Pecchia?
«Quando ero calciatore tutti gli allenatori che ho avuto mi consideravano un ottimo uomo-spogliatoio. Un ruolo che mi è sempre piaciuto interpretare. Avevo personalità, talvolta ho accettato anche lo scontro dialettico per il bene del gruppo».
Si dice che Benitez abbia un fascino particolare sui giocatori soprattutto quando deve convincerli a venire a giocare nelle sue squadre.
«Lo facilita sicuramente il fatto di conoscere almeno 4-5 lingue, trova subito il contatto con il calciatore che gli interessa. Il suo carisma è infallibile. Chi lo ascolta si convince da solo: “Vado a lavorare con Rafa”. Basta solo questa considerazione per superare qualsiasi ostacolo».
Il ruolo del vice-allenatore è cambiato nel tempo. Adesso si tratta di una figura quasi fondamentale.
«Sì, anche lo staff è diventato un elemento basilare. Io sono convinto che, comunque, le figure in campo debbano essere limitate all’essenziale. Altrimenti si rischia di fare confusione anche negli allenamenti. Penso che l’addestramento specifico dei calciatori debba partire dal settore giovanile. Quando sono già in prima squadra i margini di miglioramento sono relativi».
Qualcosa, però, è cambiato nel frattempo nel mondo del calcio.
«Sì, è aumentato il mix di culture e lingue diverse. La comunicazione è più complessa. Una parola detta in un modo o in un altro può cambiare senso. Anche il ruolo di allenatore è diventato più difficile».
Solo un aspetto è sempre lo stesso: interessa solo il risultato.
«Certo, anche se ognuno poi sceglie il mezzo migliore per ottenerlo, ma il verdetto del campo comunque è una discriminante. È diminuito anche il tempo di attesa, la pazienza, chi lavora in una squadra ha pochissimo margine d’errore».
Tutti i napoletani vogliono vincere subito lo Scudetto. Cosa occorre per esaudire questo desiderio?
«Dobbiamo partire dal presupposto che lo scorso campionato siamo terminati a 24 punti di distanza dalla Juventus. Bisogna lavorare di più e meglio. Sicuramente il campionato che sta per iniziare sarà più livellato».
I tifosi e i media attendono un grande colpo di mercato.
«Ma non è obbligatorio che debba trattarsi di un nome eclatante. Quando un anno fa sono arrivati Mertens e Callejon nessuno li conosceva. Poi si è visto che cosa sono stati capaci di fare».
La squadra ideale di Fabio Pecchia.
«Quella che ha il miglior equilibrio, quella che riesce a essere livellata sotto tutti i punti di vista. Un esempio? La Germania: ha avuto un cammino lineare con sofferenze limitate, giocando un buon calcio».
Fonte: Corriere dello Sport
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