«Io perdo un grande amico, lo sport un campione vero, il Paese un grande italiano». Patrizio Oliva, medaglia d’oro olimpica nel 1980 a Mosca nei pesi superleggeri di boxe, nella stessa edizione dei Giochi che consacrò Pietro Mennea con il titolo nei 200 metri, non riesce a contenere la sua commozione. «Non sapevo nulla della sua malattia, Pietro è sempre stato così riservato».
Quando vi eravate conosciuti?
«L’anno prima delle Olimpiadi, nel 1979 ai Giochi del Mediterraneo di Spalato. Io avevo vent’anni, lui era sette anni più grande. Ci univa il nostro comune essere ragazzi del Sud, fu subito simpatia reciproca. Che diventò ben presto amicizia vera. Sono sempre rimasto in contatto con Pietro, ci siamo visti più volte alla presentazione dei suoi libri, ci siamo incontrati spesso a Roma, dove lui lavorava».
Un’amicizia corroborata dai vostri successi a Mosca.
«Pietro era già un grande campione, l’anno precedente aveva ottenuto il suo storico record del mondo a Città del Messico. Mi dava consigli, mi ricordava come solo con i sacrifici si potevano raggiungere grandi risultati. Non solo nello sport. Non a caso anche dopo aver lasciato l’attività agonistica ha continuato a lottare per ottenere quattro lauree e specializzazioni varie. Diceva che nella vita non bisogna mai smettere di vincere».
Proprio nel 1980, in quella magnifica Olimpiade, otteneste risultati eccezionali.
«Mennea, io, il minuscolo ma grande Claudio Pollio nella lotta libera. Tre medaglie d’oro ottenute da uomini del Sud che volevano vincere per l’Italia».
Mennea, un esempio per lo sport e per i giovani.
«Pietro con lo spirito, il sudore e la fatica ha compiuto imprese impossibili: a Mosca nei 200 metri all’uscita di quella curva era quarto e riuscì in una rimonta incredibile. Ho vissuto per tanti anni a Formia e l’ho visto lavorare, sempre con grandi sacrifici. Un campione vero, che ha sempre esaltato lo spirito olimpico».
E che ha sempre combattuto il doping.
«Perché un atleta deve essere sempre leale e pulito. Una battaglia che Pietro ha sempre sostenuto: in pista, nei suoi libri, negli incontri con i giovani. Lui ha sempre gareggiato con la forza del proprio fisico e batteva anche avversari che lo sovrastavano. Vinceva perché lui era sostanza, non apparenza».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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