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Pasquale Foggia e la sua scuola calcio: “Sono figlio di Napoli, amo la mia gente”

NAPOLI – Uno di loro: i guaglioni della Loggetta. Un uomo di 30 anni che ha coronato un sogno ma anche un bambino di 30 anni fa che non dimentica il pane duro e i palloni di pezza. Pasquale Foggia è un fantasista del calcio e della vita. Un mancino con il tocco in più in tutta la parte sinistra del corpo: oggi è un calciatore della Salernitana, certo, ma è anche il fratello maggiore di quasi 300 ragazzi di età e storie differenti. Il presidente-fondatore di una scuola calcio che porta il suo nome e poi l’uomo tornato alle origini per contribuire al miglioramento della vita del suo quartiere. Con i fatti e il tintinnio delle monete; con le parole e i consigli di padre, amico, giocatore. La sua storia è bella davvero. E il narratore ci mette l’anima: «Provo a dare una speranza e una mano alla mia gente. Alla mia casa. Finché potrò e come potrò» .

LE ORIGINI  – E allora, benvenuti alla “Scuola Calcio Pasquale Foggia” . Si chiama così e si legge tutto d’un fiato. In un attimo. Lo stesso che, nel 2008, gli servì per decidere la base: «Il campo la Loggetta, a due passi dal San Paolo. Quello in cui sono nato, la mia culla, a un metro da casa mia: è lì che ho incontrato il calcio» . Ed è lì che oggi ha organizzato la sua struttura: «Da quando sono andato via per giocare, ho sempre avuto l’idea di fare qualcosa di tangibile per il mio quartiere, molto povero e pieno di problemi: e così, ho fondato la scuola calcio» .

PORTE APERTE  – Che oggi ospita decine di squadre e centinaia di ragazzini. Molti dei quali con storie difficili e a tratti drammatiche. Molti dei quali in campo grazie all’aiuto di Foggia: perché senza soldi non si cantano messe e spesso neanche il pallone. Pasquale lo sa, lo sa bene, e a quei ragazzini che non possono permettersi il lusso (diritto) di giocare con altri coetanei, offre la possibilità di farlo con una pacca sulla spalla. Stop. «Beh, la finalità della mia scuola calcio è soprattutto sociale?» . Non ci marcia, dribbla il discorso. Perché l’etichetta del benefattore non gli va proprio a genio. «Io sono soltanto un figlio del quartiere che non dimentica la sua gente. Che vorrebbe offrire una speranza a chi non ce l’ha. Tutto qua» .

CHE RISULTATI – Non si direbbe. Nel senso che ogni giorno è presente: «A volte vado anche in campo, a studiare da allenatore, e negli spogliatoi li striglio quando serve. Quando posso li accompagno in trasferta» . Risultati? «Tanti, soprattutto umani, perché prima di imparare il calcio bisogna imparare i valori: educazione, istruzione, lealtà, rispetto. L’integrazione: oggi ho anche tanti bambini che vengono dai quartieri più ricchi di Napoli, ma la differenza non esiste. Anche mio figlio, che ha 10 anni, si allena con loro: sono tutti uguali, tutti compagni. Perfettamente mescolati: è questa la più grande soddisfazione» . Insieme con quella calcistica: «Nell’ultima stagione la Lazio e il il Frosinone hanno preso due nostri ragazzi del 1999: Ziello, Russo, Esposito e Macrì. Sentirete parlare di loro. Anche la Paganese ne ha preso uno e la Nocerina quattro» . Premio? «Per tutti: invitati a turno all’Arechi a vedere la Salernitana» . Magari la promozione in B.
Fonte: Corriere dello Sport

La Redazione
L.D.M.

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