Irrimediabilmente ultima, sull’orlo del fallimento, gravata dai debiti semestrali verso i propri calciatori, a rischio persino di non completare il campionato. Sparisce il Parma, al passo d’addio la società capace negli anni Novanta di imporsi in Europa e sfidare Juve e Lazio, Roma, Inter e Milan. Un club finito e sfinito da una gestione sportiva folle e a cui nemmeno il cambio di proprietà ha restituito solidità, anzi: Taçi tace, gli stipendi non arrivano, i conti piangono lacrime amarissime. Eppure la nuova proprietà è in carica da inizio dicembre. Da quel giorno però la situazione è, se possibile, peggiorata, con gli stipendi bloccati e i calciatori arrivati a mettere in mora la società. All’origine della crisi, i 230 calciatori a bilancio, una zavorra di brocchi senza arte né parte che ha svuotato le casse e indebitato il club.
Il Parma è il fanalino di coda d’Europa con 9 punti appena: nessuno nel vecchio continente ne ha collezionati così pochi. Una situazione figlia di una gestione sportiva collassata negli ultimi anni per l’impossibilità di essere sostenuta economicamente. Basta un numero a raccontarla: 230 giocatori di proprietà, tanti ne aveva il Parma all’inizio del campionato scorso. Una cifra folle – anche se non unica nel panorama della serie A – distribuiti in prestito tra Lega Pro e serie B. Una politica imposta dai quadri tecnici alla proprietà Ghirardi inseguendo l’utopia di scovare il talento per far cassa e finanziare acquisti più onerosi: ragazzi presi da campionati minori, persino tra i dilettanti. In mezzo di tutto, dal giovanissimo prospetto al trentenne senza più speranza alcuna di imporsi: è questo, forse l’elemento più discutibile del progetto. Un po’ come cercare un ago in un pagliaio. Un sistema inaugurato nell’estate 2012 ma controcorrente rispetto alle norme che cambiavano: il tetto ingaggi della serie B e il contributo della Lega Pro che imponeva il totale pagamento degli stipendi da parte della società titolare del cartellino hanno trasformato quei ragazzi da speranze a zavorre a bilancio. Tanto da imporre la drastica riduzione l’estate scorsa, da 230 a 130 giocatori di proprietà. “E c’è un piano perché in estate diventino solo 70”. Ma dei debiti della società, quelli più consistenti (gran parte sono auto liquidanti o verso le società di Ghirardi, che non sembra pretenderli indietro), sono proprio quelli verso questi calciatori, non pagati da mesi, tra le proteste dell’Assocalciatori e il rischio del fallimento in corso di campionato.
Perché allora continuare a seguire quella strada, viste le difficoltà economiche che comportava? La domanda è scomoda, e resta. Anche perché la gestione impossibile o quasi di un lunghissimo elenco di nomi ha fatto da detonare: il mancato pagamento di quote Irpef su piccoli anticipi a calciatori prestati nelle serie minori che avevano bisogno di liquidità per affittare casa è costato l’Europa League. Senza Europa, il presidente Ghirardi non ha potuto coprire i 10-15 milioni che servivano al club entro novembre. Impossibilitato a pagare, ha venduto. A un compratore come la It Oil di Rezart Taçi, la cui solidità economica non è in discussione – patrimonio da 1,5 miliardi – chiudendo un’operazione benedetta dagli amici del tycoon albanese, Galliani e Lotito. Il consiglio di Lega e quello della Federcalcio erano perfettamente a conoscenza dell’affare e non l’hanno ostacolato (anzi), i pagamenti dei dipendenti sono stati coperti fino al 9 dicembre, data di cessione della società, quelli dei calciatori fino ai 2 mesi prima della cessione del club (e esisterebbe un accordo perché siano a carico dei nuovi padroni). Con il passaggio di quote che avrebbe dovuto salvare il club, però, la situazione non è migliorata, al contrario è precipitata nel baratro: la nuova proprietà persa tra proclami e annunci deliranti (“Eravamo vicini a comprare Balotelli”) non ha saldato i debiti con i calciatori e anzi ne ha maturati altri. Arrivando alla situazione odierna, con la messa in mora e il rischio fallimento di uno dei grandi club italiani degli anni Novanta. Il passo d’addio del glorioso Parma che fu.
Fonte: Repubblica.it
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