Lo ammetto. Sono stato a Parigi per tre sere e una di queste l’ho passata a vedere Lazio-Napoli. Non ho resistito. Mi perdonassero Renoir, Truffaut, Moliere e tutti gli altri. Ho barattato il meglio della cultura mondiale con una visita al Club Napoli di Parigi, cioè al mitico Paris San Gennar, piccolo (ma decisamente caloroso) drappello di tifosi partenopei di stanza nella capitale francese, di cui ho sentito parlare per la prima volta qualche mese fa, in occasione dell’addio dalla nostra città di Ezequiel Lavezzi. Il «Pocho», funambolo traditore e super tatuato che, sbarcando all’aeroporto della metropoli transalpina, fu accolto non già dai nuovi tifosi del milionario Psg degli emiri, bensì dai partenopeissimi fondatori del Paris San Gennar che, per l’occasione, gli fecero anche firmare l’iscrizione al club. Ma di tutto questo non c’è spazio, né tempo, per parlare tra le seggiole stipate fino all’inverosimile nel «Bambolina», minuscolo bar prescelto a sede del club, nei pressi del Grand Boulevard, in occasione delle partite del Napoli.
Sin dall’inizio del match i cori partono incalzanti, come un tempo al San Paolo prima che diventasse un trionfo di gutturali e mugugni privi di gioia. La cosa mi riempie di tenerezza. Si vede che molti di questi partnenoparigini mancano da parecchio. Comunque, non tutti. C’è Luca, per esempio, uno dei fondatori del club assieme a Donatella e Sabatino, che da Napoli è andato via solo tre anni fa e ogni tanto ci fa ritorno. Con lui in sala, a indossare le felpe e le sciarpe azzurre del Napoli, ci sono altri emigranti e semplici viaggiatori (come sosteneva Massimo Troisi in «Ricomincio da tre»), dagli studenti erasmus ai lavoratori che vivono in qualche Banlieu e che nel fine settimana approfittano della possibilità offerta dal club per trascorrere una piacevole serata in centro. Sono quasi tutti uomini, naturalmente. Ma non mancano appassionate tifose donne e bambini. C’è persino qualche parigino di origini nostrane. Rigorosamente nessuno parla francese qui. Solo italiano, ancor meglio se napoletano. Il dialetto domina a ogni tavolo, sento persino qualche idioma della provincia spinta. Pozzuoli? Torre Annunziata? Chi può dirlo. E poi qualche simpatizzante del Nord Italia, il gestore e i camerieri del bar, perlopiù interessati a rendere piacevole il soggiorno dei clienti.
In ogni caso, quando gioca il Napoli, punto di partenza e meta del viaggio non contano. Adesso, qui dentro, c’è un’unica voce, il coro della tragedia che si sta consumando all’Olimpico e che incita con veemenza lo slovacco, soffia sulle ali (un po’ spuntate stasera, per la verità) dell’uruguagio che a ogni intervista premette di dedicare ogni suo goal a Nostro Signore: la Champions val bene una messa. Si sentono volare insulti all’ennesimo passaggio sbagliato di Inler, ci si dispera quando Floccari porta in vantaggio la Lazio e, naturalmente, si esplode di gioia, facendo ruzzolare sedie e bicchieri colmi di birra a terra, quando il Napoli pareggia quasi allo scadere.
Un boato si spande per Parigi. È stato Hugo Campagnaro, detto il Maschio Angioino, a provocare una piccola scossa tellurica nella capitale del regno. Non poteva essere altrimenti che lui a rinsaldare i legami con la terra di Francia. La partita finisce. Tutti ci diciamo tautologicamente che un pareggio a Roma è meglio di una sconfitta e ci sta. Insomma, chi si accontenta gode (soprattutto a Parigi). I più fedeli restano per l’intervista al mister, qualcun altro se ne va a fumare fuori, c’è un lieve ricambio sociale e geografico. Dei francesi poco avvertiti entrano avendo tutta l’aria di chi ha appena inconsapevolmente oltrepassato l’uscio di un manicomio. Purtroppo è la verità: siamo pazzi per il Napoli. Questa è vera grandeur. E poi, nonostante i due punti persi siamo sempre lì, alle calcagna della Juve.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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