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Paolo Silvio Mazzoleni, l’antiquario, l'”incubo” dei tifosi azzurri

L’allarme lo avevano lanciato i siti filopartenopei sin dal momento della designazione: «Incubo Mazzoleni su Pechino», titolava profetico il 9 agosto PianetaNapoli. A pensar male si fa peccato però eccetera, e infatti due giorni dopo nel Nido d’Uccello si materializzò puntuale la frittata arbitrale in mondovisione, trasformando di colpo l’antiquario Paolo Silvio Mazzoleni da Bergamo nell’uomo più odiato dai Napoletani.
Di colpo? Un momento: a ripercorrere la pur breve storia dei rapporti fra il fischietto orobico e la squadra azzurra, si scopre che le preoccupazioni della tifoseria nostrana, pur notevolmente amplificate dalla passione sportiva, non erano poi del tutto infondate: nel febbraio del 2008 il Napoli aveva perso nettamente contro l’Empoli, ma sul risultato finale (1 a 3) pesò non poco il penalty accordato ai toscani per un fallo di Domizzi (che fu anche espulso malgrado non fosse ultimo uomo) probabilmente commesso fuori area; due anni dopo i più attenti ricordano ancora un rigore negato dal Mazzoleni agli azzurri contro il Cagliari per un fallo su Bogliancino; bazzecole in confronto al Parma-Napoli dell’ottobre 2011 in cui l’Antiquario non sanzionò col rigore il fallo subìto da Lavezzi in area, dimenticò di espellere per doppio giallo il parmense Biabiany, e il match finì 2 a 1 per gli emiliani. Infine, 7 aprile 2012, sull’1 a 1 con la Lazio, Mazzoleni non vede un fallo da rigore su Pandev e annulla una rete ad Hamsik per fuorigioco fantasma di Cavani: finisce 3 a 1 per i laziali, anche se in quella occasione persino i più accaniti sostenitori del Napoli ammettono che la colpa della sconfitta è più della loro squadra frollata che dell’arbitro distratto. Ma già un anno prima, in un Napoli-Brescia al San Paolo, Mazzoleni aveva dato il meglio di sé in quattro mosse: 1) Non si era accorto di un tiro di tacco di Cavani che aveva superato la linea della porta avversaria 2) Aveva annullato un altro gol al Napoli per un fuorigioco inesistente 3) Non aveva fischiato un plateale fallo in area su Mascara 4) Aveva espulso (ma questa è una diffusa tradizione arbitrale) il solito Mazzarri. Al termine, era esplosa l’ira funesta di De Laurentiis: «Se i poteri vogliono che lo scudetto se lo giocano solo le due di Milano, noi togliamo il disturbo».
Con un curriculum del genere, c’è davvero voluto del fegato, o almeno un singolare senso dell’umorismo, da parte dei designatori Nicchi e Braschi al momento di scegliere l’uomo che avrebbe dovuto guidare con spirito assolutamente imparziale la prima sfida internazionale fra due compagini già divise da antiche ruggini, cresciute proprio su presunte ingiustizie arbitrali: ecco così scendere in campo a Pechino con la sua corte di assistenti (tutti venuti dal Nord, ed anche questo era forse un segno del destino), Paolo Silvio l’Antiquario, fisico asciutto, incedere ieratico, capelli pettinati all’indietro e profilo severo tipo Christopher Lee giovane, per intenderci quello che faceva Dracula al cine. Col fischietto al posto dei canini aguzzi, nell’incubo dei tifosi l’Antiquario ha addentato il Napoli alla giugulare alla fine del primo tempo a tradimento, senza nemmeno aspettare che sullo stadio calasse il tramonto.
Nominato da quel sabato Principe delle tenebre calcistiche, adesso Paolo Silvio viene definito, dai blogger più taglienti, come il miglior top-player acquistato dalla società bianconera negli ultimi tempi, insultato in Rete dagli ultras con mania di persecuzione, dileggiato dai membri del Napoli Fan Club di Sydney che hanno avuto il privilegio di incontrarlo, il giorno successivo alla partita: per di più, proprio nel Silk Market di Pechino, il gigantesco supermercato mondiale del falso… Esagerati: il Paolo Silvio Mazzoleni, 38 anni, arbitro internazionale dal 2011, sembra più una vittima della propria inadeguatezza che l’esecutore di un piano studiato a tavolino per fregare il Napoli e tagliare le gambe alle sue ambizioni di terzo polo pedatorio d’Italia. Tuttavia, ruolino di marcia calcistico a parte, certe circostanze vanno, per dovere di cronaca, evidenziate: nella foga di dare addosso all’Antiquario, alcuni internettiani hanno infatti frettolosamente segnalato che Paolo Silvio si sarebbe macchiato nel 2007 di un riprovevole gesto (sì, quello detto appunto «dell’ombrello») all’indirizzo del presidente della Lazio, Lotito, durante una partita con l’Atalanta: cui era presente non in veste di direttore di gara, bensì di semplice tifoso atalantino. Errore grave, scambio di persona: il protagonista dell’episodio non fu infatti Paolo Silvio ma il fratello maggiore Mario, che con il congiunto condivide sia la passione per l’arte che per l’arbitraggio. Anzi, condivideva: in seguito all’imbarazzante faccenda dell’ombrello, Mario (già dimissionario dalla sezione arbitrale di Bergamo) fu sospeso per sei mesi dalla commissione disciplinare. Scoprendo però contemporaneamente un’altra travolgente vocazione, quella per la politica, candidandosi nel 2009 alle elezioni nelle file della Lega Nord come consigliere comunale di Alzano Lombardo dove possiede una delle sue quattro gallerie d’arte: «Risiedo ad Alzano Lombardo da circa 8 anni, giorno in cui mi sono trasferito con mia moglie e le mie figlie», si legge tuttora in Rete sul suo manifesto elettorale. Dall’anacoluto scritto a quello fischiato: i fratelli Mazzoleni colpiscono ancora. Ma è Paolo Silvio quello che con il maldestro arbitraggio di Supercoppa ha elevato l’errore a forma d’arte: dopo Pechino, a Napoli lo hanno soprannominato la Piccola Vendetta Lombarda.

Fonte: Antonio Fiore per Il Corriere del Mezzogiorno

La Redazione

M.V.

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