L’uno o l’altro? E’ un valzer sulle punte cominciata all’alba di questi giorni, in un settembre – nel suo piccolo – illuminante, tra le luci accese dai «guizzi» dello scugnizzo e le «ombre» allungate dalla malinconia del macedone: Pandev o Insigne? E per un po’ è stato un giochino infrasettimanale, una divagazione cerebrale: poi arrivò Marassi, undici novembre duemiladodici, è cominciò un’altra storia, più autentica e più vera, senza «forzature» e pure priva di suggestioni. Insigne o Pandev? Perché pure in quell’interrogativo cominciavano a vacillare le gerarchie, stavolta sempre più blande.
L’ESPERIENZA – E dunque si ricomincia, avendo il campo espresso ulteriori perplessità, non essendo riuscito Pandev a scivolare via da quel tunnel nel quale è precipitato lo scorso 7 ottobre (cinque mesi, un’enormità), in crisi di gol ma anche d’identità. Il Pandev stagionale è d’impatto: comincia brillando in Cina, poi rilanciandosi dopo le due giornate di squalifica rimediate in finale di Supercoppa, con il Parma (gol ed assist proprio per Insigne) e comunque partecipando alla manovra, offrendosi come sponda di Hamsik o di Cavani, sostenendo il ruolo di top player riconosciutogli da Mazzarri che nel 2011 l’ha voluto in prestito e che nel 2012 l’ha confermato per sopperire alla partenza di Lavezzi. Ma è un’illusione e quando a Marassi si ha percezione delle prime difficoltà, l’infortunio rimuove il dualismo per circa un mese, il periodo necessario al macedone per sistemare il fisico e ripresentarsi. La vera esplosione, che sembra segnare l’inizio d’una nuova era, il 6 gennaio: nella calza della Befana c’è un Pandev nuovo di zecca, di nuovo titolare – dopo due mesi – quindi ristabilito e in grado (teoricamente) di dare il proprio contributo nella corsa tra Europa League e campionato. E invece, al di là delle difficoltà di trovare la porta, emerge pure la complessità nel ribadire quel talento ch’è indiscutibile e che invece langue, bolle di sapone che si frantumano al primo alito di vento e che inducono ancora Mazzarri ad intervenire con una staffetta sempre più o meno annunciata o ricorrere alla stimolazione con la panchina, che il macedone conosce ancora con la Sampdoria e con l’Udinese, complice una parvenza di turn-over.
LA GIOVENTU’ – Insigne è una freccia che il Napoli preferisce conservare nell’arco e poi di lanciare in campo a partita in corso: per consentire al «monello» del gol di sprigionare la sua verve con avversari appannati fisicamente, per cogliere da quel genietto l’imprevedibilità mentre gli avversari arrancano, per modificare magari lo schema o lo spartito. Insigne viene «gestito» da Mazzarri con parsimonia, però ha minutaggio e magari avrebbe bisogno di essere avvicinato a Cavani e ai sedici metri, evitandogli il lavoro sporco della copertura sino alla mediana: più che i gol, quattro, parlano per lui l’atteggiamento sempre presente, la capacità di osare (ancora meno di quanto in realtà sappia fare), la disponibilità al sacrificio, ed una semplicità nel saltare l’uomo, nell’andare all’uno contro uno, nel procurare la superiorità. La prima «svolta» è in casa del Genoa, la seconda – altrettanto influente, eccome – a Parma: quando a cinque minuti dalla fine, dalla lampada di Lorenzino, viene fuori un’invenzione, con lancio nello spazio per Cavani e produzione in coppia della rete che vale la vittoria e il riavvicinamento alla Juventus.
E ADESSO? – Ci risiamo: perché nelle «undici finali» che attendono Mazzarri con il suo Napoli, le valutazioni della scorsa estate si sono (quasi) azzerate e la distanza che separa Insigne da Pandev è ridottissima: lo testimonia, lo sottolinea, lo score, le presenze; lo certificano le scelte dell’ultimo mese. L’uno e l’altro: fate il vostro gioco…
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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