NAPOLI – Una, cinque, dieci volte: e la domanda, che sorge spontanea, ad un certo punto diventa il tormento d’una notte abitata dalle streghe. «Ma cosa ha fischiato?». Il veleno, succede sempre così, è nella coda d’una gara «maledetta», 45 minuti a sfidare il vento e gli altri a sbattere la testa contro il muro o contro un palo o contro un nemico invisibile, un panno trasparente steso sulla linea del Cesena, unaragnatela formata dalla mani di Antonioli, dalla testa di Comotto. «Ma cosa ha fischiato?» . E’ finita e non c’è più verso di riprendere per i capelli Napoli-Cesena, il terzo pareggio che certifica il momentaccio; è finita: e mezz’ora dopo, quando neppure il getto bollente della doccia è riuscito a ripulire dalla delusione, l’interrogativo sta ancora lì ad inseguire Goran Pandev. «Ma cosa ha fischiato?».
– Cercasi monitor disperatamente, per capirci qualcosa, per potersi dare una risposta persasi nella brume di una gelata, d’uno 0-0 che fa male alla classifica e al morale, che dà un colpo secco all’autostima e che incide nell’ambiente. «Vorrei capire, almeno». Minuto quarantotto e ancora spiccioli di secondi, il rigurgito del talento esplode nell’area affollata come il bus d’una metropoli nell’ora di punta e poi si manifesta in quella rete scossa dal tap in di Goran Pandev, l’uomo della provvidenza per un nanosecondo, il tempo necessario per accorgersi che c’è una bandierina alzata e ch’è stata semplicemente un’illusione spezzatasi d’incanto. «Io ancora non so cosa abbia spinto l’arbitro ad annullare il mio gol» .
– Le teorie danzano nel ventre d’un san Paolo ch’è colmo d’ira, che si gonfia, sbuffa e poi si rigonfia: e mentre intorno è un replay dietro l’altro in cui si prova ad intuire la nuda verità, a Pandev rimangono granellini di sabbia tra le dita e il senso incompiuto d’una prodezza vanificata: «Sarebbe stato bello, sarebbe stato molto bello riuscire a raddrizzare la partita in quel modo. Sarebbe stato addirittura fantastico, perché nella ripresa le abbiamo provate davvero tutte e ci siamo andati vicinissimi più volte».
– Ma poi il destino decide da sé e orienta e governa una partita: Napoli-Cesena, ad un certo punto, diviene un arrembaggio, un assalto all’arma azzurra; è pressione costante, è una sfera che volteggia e finisce sul montante; è un sinistraccio di Pandev che sta per arrivare nell’angolino lontano, dove invece atterra con il palmo della mano Antonioli ad accrescere quel senso d’impotenza che s’è preso il macedone, sballottandolo nella malinconia. «Non è stato facile giocare, ma noi sappiamo bene che non lo è mai per noi, soprattutto in casa. Volevamo vincere, bisognava vincere, perché lo desideravamo, perché ritenevamo dedicarla ai tifosi, perché ci servivano i tre punti, perché un successo poteva essere importante. E invece…».
– Mourinho avrebbe detto por qué? E (solo per caso) praticamente alla stessa maniera, perché si chiede Pandev, al tramonto d’una speranza finita nel nulla, con la tristezza che ormai è padrona assoluta del campo e l’immagine sfocata della felicità che è già stata spazzata via da Banti. «Io non riesco a capire, credetemi: l’arbitro ha fischiato il fuorigioco? Cosa ha fischiato? Non so cosa abbia fischiato».
Fonte: Corriere dello sport
La Redazione
A.F.
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