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Palanca: “Napoli? Il mio rimorso più grande, ma che onore giocare con Krol”

Lo specialista dei gol da calcio d'angolo si racconta a Gianlucadimarzio.com: "In azzurro non riuscì ad esprimere le mie qualità"

Se a metà anni 70’ facevi il portiere in Serie B o in A, e quella domenica giocavi contro il Catanzaro, la tua unica speranza era che gli avversari non battessero un calcio d’angolo. Sì, proprio un corner. Perché sul pallone si presentava un ragazzotto sotto il metro e settanta, con due baffi folti e scuri, e soprattutto un piedino sinistro misura 37. All’anagrafe Massimo Palanca, ma per tutti “Piedino di fata”. Con quel sinistro, infatti, segnò la bellezza di 13 gol, tutti direttamente dalla bandierina. Una cosa più unica che rara e che lo rende famoso ancora oggi, seppur si sia ritirato 15 anni fa. “Ho sempre calciato le punizioni in quel modo – racconta Massimo Palanca a gianlucadimarzio.com – e il calcio d’angolo è pur sempre una punizione da 22 metri. Si batte allo stesso modo: a giro e forte”. Ma anche qualche fattore esterno aveva la sua importanza: “A Catanzaro c’era sempre un bel vento, e io lo sfruttavo al meglio. Così come approfittavo della collaborazione di Claudio Ranieri, che andava a disturbare un po’ il portiere. Sempre nei limiti del regolamento – ci tiene a precisare – ma quel tanto che bastava per ritardarne l’intervento”.

Tra i più famosi il gol all’Olimpico contro la Roma, in un pomeriggio nel quale andò a segno per tre volte e sempre in modo diverso. Ma quella tecnica è rimasta lì, ferma a Catanzaro e conservata per bene nel piedino di Massimo Palanca. “Adesso non ci prova più nessuno, ma non certo per motivi tecnici. Ora si tende di più a calciare ad uscire perché è quello che chiedono gli allenatori che preferiscono sfruttare gli inserimenti dei saltatori. Diciamo che l’unico che ci provava era Maradona, però si sa che lui ha sempre fatto di testa sua”.

Ma Massimo Palanca, “Piedino di fata”, continua a guardarsi attorno. “Ho ritrovato il mio stile di calcio in un solo ragazzo da 15 anni ad oggi: Giuseppe Rossi. Rivedo in lui tantissimo di me. E mi dispiace moltissimo per tutta la sfortuna che ha avuto. Lo seguivo già quando facevo l’osservatore dell’Under. E ho sempre notato in lui un piede sinistro delizioso, rapidità di esecuzione, scaltrezza e quel pizzico di furbizia che non guasta mai”. Non solo, perché per Palanca ci vuole anche altro per sfondare. “E’ un bravissimo ragazzo, un vero peccato tutto quello che gli sta capitando, poteva essere un punto di riferimento per la nazionale”.

Un po’ come lui è stato punto di riferimento di quel Catanzaro. “Conquistare la promozione in A con una squadra di seconda fascia è una grandissima soddisfazione, perché arrivarci con una grande è quasi normale. E poi all’epoca la Serie A era a 16 squadre ed era più difficile anche mantenersi”. Quello tra Massimo e il Catanzaro è un rapporto che non si è mai logorato. “A Catanzaro devo tutto. Ci sono stato per 11 campionati: i miei migliori amici sono di Catanzaro e mio figlio è nato lì”. Un calabrese di Porto Recanati, come ama definirsi proprio lui, che però a Catanzaro non ci doveva neanche andare. “Ero destinato alla Reggina, ma retrocessero in C e così arrivò la chiamata del Catanzaro”. Lì ha trovato una famiglia formata da compagni di squadra con i quali ha conservato un ottimo rapporto. “Ancora oggi ci sentiamo e ci ritroviamo per fare il insieme il Capodanno o le vacanze estive. Lo spogliatoio era uno dei nostri punti di forza, una cosa che ora sembra molto più difficile”. E in questo magico gruppo c’era anche Claudio Ranieri. “Siamo arrivati insieme a Catanzaro nel ’74 e siamo rimasti lì fino all’81. Non era un fenomeno ma era uno che dava sempre il massimo. Uno dei leader di quella squadra con grandi doti atletiche. Con il passare degli anni è diventato difensore centrale ed ora è un ottimo allenatore”.

Le loro strade si sono accostate anche dal punto di vista della carriera perché Ranieri è diventato l’allenatore del Napoli, uno dei più grandi rimpianti della carriera di Palanca. “A Napoli avevo delle aspettative, ma sul campo è andata diversamente e non sono riuscito ad esprimermi al meglio. Ho avuto la fortuna di giocare con grandi campioni come Krol, ma quell’esperienza resta senza dubbio la più grande amarezza della mia carriera”.

Per poi fare ritorno alla sua Catanzaro, dove ha ripreso ad incantare tutti. Con quel piccolo grande sinistro: croce di ogni portiere e delizia di ogni tifoso calabrese.

Fonte: gianlucadimarzio.com

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