L’inizio di stagione sembra indicare lo spostamento del baricentro calcistico al centro-sud.
«Sarebbe una buona inversione di tendenza. In un calcio come quello italiano un po’ in crisi, se ci fossero maggiori possibilità di vittoria per tutti mancherebbero gli alibi per gridare allo scandalo».
Il suo Napoli si inserì tra la fine del ciclo trapattoniano alla Juve e l’inizio di quello sacchiano al Milan. Come si vince a quelle latitudini?
«Con le tre componenti – società, staff tecnico e squadra – che remano nella stessa direzione. Il primo anno arrivammo terzi, poi ci stabilimmo sul podio vincendo due coppe, oltre allo scudetto. Avevamo una grande organizzazione».
Anche nella capitale vinse una Coppa Italia e sfiorò il trionfo in Uefa.
«Era una situazione diversa: il presidente Viola pensava a un anno di transizione e quando mi disse che per motivi socio-politici gli sarebbe bastata la salvezza rimasi allibito. Mi è dispiaciuto non abbia potuto assistere alle due finali».
Oggi le romane, il Napoli e la Fiorentina possono inserirsi al vertice?
«Il Napoli sicuramente. La società è ben strutturata, il tecnico collaudato e la squadra assestata. Ma soprattutto ha trovato consapevolezza nei propri mezzi. Le altre? La Roma mi intriga: gioca bene, è ricca di giovani di talento, ma l’organizzazione difensiva di Zeman è un punto interrogativo. La Lazio è una squadra interessante, ma forse troppo dipendente da Klose. La Fiorentina ha cambiato tanto per ambire al tricolore. Per lo scudetto vedo un testa a testa Juve-Napoli, poi le altre tre e le milanesi».
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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