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Ottavio Bianchi: “Per lo scudetto sarà una lotta Napoli-Juventus”

L'ex tecnico azzurro: "Le milanesi e la Roma hanno cambiato molto"

Trecento (in serie A) ma non le dimostra. Centodieci domenica prossima con il Napoli e neppure si direbbe. E’ proprio vero, il tempo vola. Ma è vero pure che al Napoli il tempo vola alto e felice da quando in panchina c’è Mazzarri, il quale ha fissato per fine stagione l’aggancio ed il sorpasso di uno dei miti azzurri: Vinicio, ‘O lione che su quella stessa panchina ha ruggito 144 volte. E allora, quarta stagione azzurra per Mazzarri. Quattro anni vissuti intensamente tra lavoro, risultati eccellenti e qualche crisi con De Laurentiis, poi rientrata puntualmente. Una longevità, una anzianità azzurra che sorprende molti, ma non Ottavio Bianchi, uno che di Napoli e del Napoli se ne intende e come!


Perché non la sorprende, caro signor Bianchi?
«Perché Mazzarri ha lavorato bene e perché, da quel che sembra da lontano, gode di gran rispetto da parte del club e anche dei media. Mi creda, in Italia e soprattutto a Napoli, non è facile essere padrone d’una panchina tanto a lungo. All’estero capita di più. O, almeno, capitava. Perché anche lì mi pare che non ci sia più tanta pazienza».

Questione di risultati, insomma?
«Non solo. Qui da noi a volte non bastano i soli risultati a far forte un allenatore. Alla stabilità del Napoli di oggi, anche a quella tecnica, concorrono anche altri fattori assai importanti. Penso alla conduzione societaria concentrata nelle sole mani di De Laurentiis e quindi lontana da lotte, dispute, scontri di potere. Penso alla sapiente cura dei bilanci, che vuol dire puntualità nei pagamenti e nessun rapporto complicato con le banche. Penso alla capacità di operare acquisti mirati sul mercato senza lasciarsi attrarre da nomi o fantasie. Il Napoli, insomma, è una società sana e ben organizzata e questo crea meno problemi anche all’allenatore».

Ma se tutto funziona a meraviglia, se Mazzarri ha capacità ed esperienza e se la squadra è ben assortita ed offre un eccellente calcio, vuol dire che per il Napoli è anche tempo d’un successo molto più eccitante della coppa Italia? 

«Non v’è dubbio. E questo è l’anno giusto. Certo, la Juve pure s’è mossa bene sul mercato, ma continua ad avere un gioco assai caratteriale, dispendioso insomma, e con la Champions che l’aspetta non so se giocatori che l’hanno fatta grande nella stagione scorsa come Pirlo, reggeranno il ritmo di tre partite a settimana».

Il Napoli?
«Il Napoli è nella condizione in cui era la Juve un anno fa».

E l’Europa League?
«L’Europa League? Ma vogliamo essere seri? Vogliamo uscire dall’ipocrisia?»

Certo, usciamo.
«E allora diciamolo: l’Europa League è come la coppa Italia».

Che facciamo, la buttiamo via prima di cominciare?
«Siamo onesti: non vale quanto la vecchia coppa Uefa. E’ una competizione che comincia a destare un poco d’interesse solo quando arriva alle semifinali. E poi, è fatta per le squadre di seconda e terza fascia. Per quelle, insomma, che non giocano per il primo posto, oppure che a un certo punto del campionato si ritrovano tagliate fuori dalla corsa allo scudetto».

Quindi il Napoli non deve avere neppure il dubbio della scelta.
«Ma che dubbi? Che scelta? Il discorso è semplice: se per lo stesso tuo obiettivo hai quattro o cinque concorrenti, è chiaro che puoi avere dei problemi, delle difficoltà. Ma qui la corsa è a due: la Juve con il peso della Champions e il Napoli libero da pensieri d’ogni tipo. Quindi?»

Scusi Bianchi: e l’Inter, il Milan, la Roma dove le mettiamo? 

«Hanno cambiato tutte molto, dai calciatori ai tecnici. Il Napoli, invece, ha sempre la stessa impronta. Per gli azzurri la continuità tecnica è sicuramente un valore aggiunto».

C’era qualche preoccupazione per la partenza di Lavezzi. Invece?
«Quella del ragazzo argentino era una partenza necessaria. Inevitabile, direi. Quindi niente rammarico né recriminazioni. E’ andata bene a Lavezzi e non è andata male neppure al Napoli. Ma è inutile parlarne: Lavezzi appartiene già al passato».

Il futuro, invece, si può chiamare Insigne?
«Il presente si può chiamare Insigne. Il futuro, vista la crisi economica e l’imperativo di avere bilanci sani, si chiama: vivai sempre più e sempre meglio organizzati. Fortunati e saggi quei club che investono e investiranno in campi, attrezzature e istruttori per giovani e giovanissimi. E mi auguro che questo accada soprattutto al Sud, terra di talenti spesso costretti ad andar lontano o addirittura privati dell’opportunità di farsi notare».

Un’ultima cosa, signor Bianchi. Dica la verità, almeno un poco, Napoli le manca?
«A Napoli, prima da calciatore, poi da allenatore e infine da dirigente, ho dato molto ma ho anche ricevuto tanto. Per me Napoli è stata una lezione di vita quotidiana. Una città che non ha mai cercato di cambiarmi. Io, invece, sono stato rapito dalla sua storia, dalla sua cultura, dalle sue bellezze. Una sola cosa non ho mai imparato: la lingua napoletana. Sì, sono stato tanto tempo a Napoli e non ho imparato una parola». 

Fonte: Corriere dello Sport

La Redazione

A.S.

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