Le disavventure di Camilo Zuniga, uno che alla sorte ha restituito con gli interessi quanto di dorato ha ricevuto a inizio ottobre, quando ha quasi triplicato il suo ingaggio al Napoli, sono avvolte nel mistero. Questa stagione sembrava quella della consacrazione e invece è divenuta una specie di via crucis. «Ma non è un caso – sbotta quasi infastidito il manager del colombiano Riccardo Calleri – si è operato a ottobre perché con quel dolore non poteva più convivere e adesso è a disposizione dell’allenatore che lo farà giocare quando lo riterrà opportuno. Non è vero che ha fretta di giocare, non è vero che teme di non andare ai mondiali». Chiaro che dietro le dichiarazioni di facciata si nasconda un grande gelo. Perché Zuniga è convinto di essere oramai pronto al ritorno in campo. E scalcia per riavere la maglia da titolare. Ma Benitez la pensa esattamente all’opposto. Peraltro in Ghoulam ha trovato una soluzione più che valida sulla fascia di sinistra.
Fin qui i fatti. Certi. Meno definiti i contorni che circondano la genesi dell’infortunio o quanto meno la gestione dello stesso. Un passo indietro: il giocatore viene operato in artroscopia il 21 ottobre dal professor Mariani. Il Napoli, per quasi venti giorni, aveva spinto perché Zuniga rinviasse l’intervento almeno a dicembre. Niente da fare. Firmato il rinnovo del contratto il 30 settembre a Londra, l’esterno colombiano alza bandiera bianca esattamente alla fine di Arsenal-Napoli. 24 ore dopo. L’ortopedico di fiducia della società, dopo l’intervento di pulizia all’arto, detta i tempi: tra un mese tornerà disponibile. Sono passati sei mesi e mezzo. «L’intervento è stato plurimo perché la lesione non era una rottura. Lui aveva i postumi di una meniscectomia che aveva subito otto anni fa», la diagnosi di Villa Stuart.
Benitez per primo ha giustificato la prudenza di Zuniga: «Anche io da giocatore mi sono fatto male al ginocchio, so che infortunio fastidioso è». La storia è adesso un grumo inestricabile di ipotesi e cattivi pensieri. Perché il recupero è lentissimo. Zuniga il 28 febbraio, raggiunge la Colombia a Barcellona. Al suo rientro in Italia, è un altro: probabilmente comprende che deve darsi una mossa perché il ct Pekerman non intende affidarsi durante i mondiali a un calciatore che nel corso della stagione è rimasto praticamente fermo.
E allora Zuniga capisce che deve stringere i denti e che a quel dolore che non vuole andar via deve fare l’abitudine. Dall’inizio di marzo, con il beneplacito di tutto lo staff medico del Napoli, prende parte agli allenamenti. Per intero. L’esito del lavoro in campo pare confortante: ma la convocazione non arriva neppure contro la Lazio. «Camilo è sereno, in fondo è da pochi giorni che si è riaggregato al resto della squadra. Sa che prima o poi tornerà a giocare. Ovvio che ne abbia una voglia matta», dice ancora Calleri.
Il punto è un altro: Benitez non ha nessuna fretta. «Che cosa volete? Non ha ancora la condizione per giocare una partita», ha risposto. Quando tornerà, per l’appunto, non si sa bene. Non si sa se sarà sabato con l’Udinese oppure contro l’Inter. Chissà. Di sicuro, di questo passo, la finale di Coppa Italia rischia di vederla da spettatore: perché Rafa, in ogni caso, è stato tra i primi a rimanere impressionato dai tempi lunghissimi di recupero di Zuniga. «Sto meglio», diceva Zuniga. «Sto lavorando, ma il dolore c’è ancora». Stop. Impossibile, per Benitez, rischiarlo a queste condizioni. Ora lo scenario è cambiato. Perché Zuniga sa che alla Colombia deve mandare dei segnali di guarigione completa. E se non gioca, per Pekerman non è il segnale giusto.
Fonte: Il Mattino
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