La voglia di festa non poteva più attendere, e il Napoli non poteva più essere la squadra delle occasioni sfiorate e poi puntualmente sfumate. Il racconto s’era fermato al gol fallito da Maggio contro il Chelsea al San Paolo: fu quello il momento della svolta, il triste presagio che pure la trasferta a Londra sarebbe stata inutile. Chi è uscito vincitore da quel quarto di finale è arrivato fino in fondo e la Champions se l’è addirittura portata a casa. Un rimpianto in più per Mazzarri sempre arroccato sulle sue teorie che vorrebbero le classifiche di rendimento sovrapponibili alle graduatorie degli ingaggi. Sarebbe stato il più felice per la smentita che quella sera a Stamford Bridge non arrivò, provocando un effetto down anche in campionato, incomprensibile per una squadra considerata sicuramente tra le prime tre della serie A, per valore dei singoli e per gioco corale. Il risarcimento è stato incassato domenica notte all’Olimpico, battendo una Juventus finora imbattuta, nel momento dell’addio a Lavezzi, al simbolo di una rimonta che dura da otto anni. Quante volte è stato evocato in queste stagioni l’Inferno della serie C? Un’operazione di catarsi dopo aver visto il nome del Napoli cancellato per decisione federale. Ora questo epilogo, solo provvisorio. L’ultimo atto ha rispettato una drammaturgia perfetta per raccontare un amore esagerato che uno dei due amanti – Lavezzi, appunto – ha deciso di chiudere così, pagando il prezzo della libertà fissato in una clausola contrattuale. Il modo più freddo per dire basta. Sulla scelta di Lavezzi non sembrano più esserci dubbi e anche la destinazione pare definirsi nei contorni che fanno intravvedere una Tour Eiffel sullo sfondo, ma l’ultima immagine resta quella, incancellabile, di due lacrime che solcano il volto dell’argentino per una volta triste e la coppa Italia alzata al cielo, simbolo di una vittoria finalmente conquistata. Erano 7932 giorni che al Napoli non accadeva di vincere una finale: la maggior parte dei ragazzi che per tutta la notte ha invaso la città solo per vedere il pullman con i calciatori non era ancora nato o non era in età di ragione quando l’ultima volta successe qualcosa di simile. Fu l’atto conclusivo dell’era Maradona, la cassa era già vuota ed era impossibile anche solo rinnovare l’impianto di una squadra inesorabilmente esaurita dopo due scudetti vinti. Il passato non è sempre nostalgia, può trasformarsi in lezione per evitare il ripetersi di errori capitali.
Lavezzi stavolta propone l’occasione per cambiare, per rinforzare una squadra che può ancora dare molto, a patto che i titolarissimi non siano quei soliti undici. Ecco perché, subito dopo il trionfo, cominciano ad affacciarsi fantastiche suggestioni; la prima ha la faccia fcurba di Lorenzo Insigne, napoletano che per un anno ha regalato magie al Pescara di Zeman, un altro personaggio che De Laurentiis avrebbe scelto per un film francese tutto silenzi e introspezioni. Sarà Insigne l’erede di Lavezzi? potrà rappresentare la soluzione fatta in casa per rimpiazzare l’idolo transfuga? Il presidente è fortemente tentato, Mazzarri, l’allenatore che dovrebbe prenderlo in cura, forse lo è meno. Dalla dialettica dipenderà gran parte del futuro del Napoli e pure del futuro di Mazzarri. Non è una questione di nomi: Lavezzi era il gioco del Napoli, con i suoi cambi di direzione, con la sua imprevedibilità. Rimpiazzarlo è un esercizio di fantasia tattica, non un’operazione da chiudere con un cambio di figurine. I 30 milioni di euro che lascerà in dote insieme con l’indotto comunque garantito dalla Coppa Italia sono un tesoretto da amministrare con grandissima attenzione. Il domani del Napoli dipende dagli acquisti che verranno. La Grande Festa che tutti progettano di replicare non può aspettare altri 22 anni.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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