Già dalla prima parola pronunciata da Mario Monti nella sala del governo, i ministri hanno capito che nulla era cambiato. Che il «no» del premier alla candidatura di Roma alle olimpiadi del 2020 sarebbe restato «no». «È una questione di serietà e di credibilità», ha esordito il professore, «non è prudente impegnarci in un pesante piano di rientro del debito che impone una gestione rigorosa dei conti pubblici e poi dire sì a un intervento che costerebbe diversi miliardi. Faremmo una pessima figura sui mercati, daremmo la sensazione che abbiamo già abbassato la guardia e che l’Italia è tornata quella di prima». Ciarliera e spendacciona.
Poi, Monti, è passato ad analizzare i risvolti politici, le ricadute economiche ed occupazionali di Roma 2020, le opere da realizzare, le ripercussioni internazionali. «Il progetto del Comitato promotore è valido», ha spiegato, «ma non tiene conto del rischio-moltiplicazione. Da sempre le Olimpiadi sono costate molte volte di più di quanto era previsto. E questo Paese non può permetterselo, dobbiamo essere responsabili». Frasi e concetti affermati la sera prima con Giorgio Napolitano, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini durante il ricevimento al Quirinale per il presidente tedesco Wulff. E Napolitano anche ieri ribadirà: «Non mancheranno altre occasioni per valorizzare le energie e le potenzialità dello sport».
Qualche ministro è intervenuto. Corrado Passera ha chiesto «più dettagli». Nessuno, però, ha osato contraddire Monti. Tanto più che il premier ha parlato di rischio di «colpi bassi internazionali». E ha raccontato di Berlino che sostiene la candidatura di Istanbul e di Parigi che fa il tifo per Tokyo. «E noi, in questa fase di debolezza, con lo spread che continua a oscillare e con il rischio che la situazione in Grecia precipiti, non possiamo farci nemiche Germania e Francia con una candidatura azzardata. Il nostro faro è la tenuta dei conti pubblici, l’essere virtuosi e sobri». Come osserverà in serata Gianfranco Fini, «la decisione è esclusivamente di carattere finanziario». Insomma, il premier con il «no» a Roma olimpica ha ritenuto di fare ciò per il quale è stato chiamato: tenere i bilanci in ordine, sventare il rischio di un nuovo assalto della speculazione, non rincorrere il consenso. «Abbiamo cominciato il decollo, ma non è ancora il momento di slacciare le cinture di sicurezza», dirà in conferenza stampa.
Per oltre due ore Alemanno, Petrucci, Pescante e Gianni Letta (i vertici del Comitato promotore), hanno atteso nello studio di Antonio Catricalà che Monti li ricevesse. Tant’è che raccontano di un Letta spazientito e irritato. «Cose mai viste…». E raccontano che quando, poco prima delle tre, Monti ha finalmente interrotto il Consiglio dei ministri per andare a incontrare il Comitato, abbia dato l’annuncio a testa bassa. Quasi imbarazzato per la brutta notizia che era «costretto a dare». E con frasi che hanno lasciato di stucco Alemanno, Letta, Pescante e Petrucci: «Voi comunque le opere le potete realizzare. Oppure, ci potete riprovare per l’edizione del 2024». Alemanno ha provato a ribattere ricordando che «lo sforzo dello Stato sarebbe di 600 milioni l’anno. Non possiamo permettercelo?». Replica di Monti: «In linea di principio sì, ma vista la situazione internazionale, visti i sacrifici che abbiamo chiesto ai cittadini, non possiamo far passare l’idea che allarghiamo i cordoni della borsa. Tanto più che l’impegno finanziario dello Stato rischia di essere imprevedibile, praticamente illimitato». Il premier ha portato l’esempio di Londra 2012, «con costi decluplicati rispetto alla previsione iniziale». Infine, in serata, il premier ha parlato in tv: «Vorrei che gli italiani e i romani non leggessero la decisione come un messaggio di pessimismo, non deve dar luogo a frustrazioni perché bisogna mettere l’Italia in una posizione di sicurezza per evitare di scivolare su una buccia di banana, mettendo a rischio denari dei contribuenti».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
A.S.
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