SERATA d’onore e d’amore, si giocano 4 partite in una. Bentornati in Champions, l’emozione incrocia le ultime paure, più di vent’anni da quell’infida notte, 7 novembre 1990, l’orgoglio del secondo scudetto nascose nel gelo di Mosca i limiti di una squadra al tramonto. Bella prova, duemila bandiere azzurre, ma che tristezza finivano insieme il vecchio Napoli e Maradona.
NAPOLI eliminato ai rigori, con Maradona arrivato per ultimo con un aereo privato a sue spese. Ciro Ferrara era andato a svegliarlo, il charter della squadra fermo a Capodichino: presto, chi aspettiamo? Mezza squadra insofferente a bordo, il più napoletano del vecchio Napoli chiese mezz’ora, «datemi tempo, vado io», volò in via Scipione Capece, stradina defilata sopra via Orazio, Diego non riconobbe neanche la voce del compagno amico, era gonfio di sonno e di coca. Claudia umiliata richiuse la porta. A Mosca girò un ordine appena da Napoli si mise in viaggio Diego, «fingete di ignorarlo, ci ha tradito», obbedirono in molti, solo Salvatore Carmando gli saltò al collo, fu infranto così il più penoso silenzio, dopo Carmando gli altri. Il massaggiatore uscito dalla nazionale italiana per vincere con l’Argentina di Carlos Maria Bilardo e di Diego il mondiale di Mexico ’86, due uomini veri, era fedele solo ai sentimenti. È stato in seguito anche dal Napoli liquidato, che tempi per chi nell’ipocrita calcio non si piega come un giunco. Il Napoli pareggiò come all’andata, zero a zero, perse ai rigori. Maradona tremava in panchina, ravvolto in un plaid pesante e vistoso come una gualdrappa, poi andò a battere il rigore e non sbagliò, il destino assegnò a quel biondone un po’ svagato di Baroni il calcio alla Coppa dei Campioni, l’addio al primo turno.
Fonte: Repubblica
La Redazione
A.F.
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