L’Europa League e poi la Champions, la coppa Italia e di nuovo la vecchia, cara (ma, maledizione, anche ingombrante) coppa Uefa e ora un secondo posto: l’élite, insomma. I foglietti che svolazzano con le medie racchiudono sinteticamente la belle époque d’un quadriennio da incorniciare: e poi, nel calcio come nella vita, capita di doversi imbattere in un momento negativo che stona, un febbraio nero (e quasi nerissimo) nel quale la vittoria diviene un’assenza fastidiosa che dura ormai da trentotto giorni e che somma la sconfitta con il Chievo a quelle con il Viktoria Plzen e poi inserisce nello score le (sole) due reti fatte, le otto subite, le occasioni sprecate, i disagi denunciati. Storie (contorte e persino paradossali) di questo Napoli, che però resta in linea con il suo nuovo status, quello garantito nell’era Mazzarri dalla capacità di spingersi oltre, di lottare alla pari con l’establishment internazionale, di vivere di luce propria un sogno e d’inseguire a tratti lo scudetto. I numeri attuali nascondono ma non cancellano l’anima fiera di chi dal 2009 non s’è quasi negato nulla, neanche un filino di delusione attuale scatenato dall’involuzione, dai quattro punti in cinque partite, dal calo che ha allontanato – sensibilmente e quasi definitivamente – dalla Juventus e che ha avvicinato – pericolosamente – il Milan ma anche la Fiorentina. Perché il secondo posto è un passaporto indiscutibile per una felicità assoluta: un percorso che conduce dritto al “caveau” del problema.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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