NAPOLI, 8 maggio 2011 – Il blu del mare arriva anche qui. Filtra tra le inferriate che dividono il mondo di fuori da quello di dentro e intona il canto delle sirene. Un richiamo irresistibile, per questi ragazzi tanto… fuori da finire dentro. “Quando esco, tra un anno, vado a lavorare. Basta con le rapine, non voglio far dispiacere più nessuno”. Il manifesto programmatico porta la firma di Silvestro, uno dei 60 reclusi del penitenziario minorile di Nisida. Carlo e Luigi sognano di tornare a far gol sui campi polverosi di Torre Annunziata, dove giocavano prima di finire in manette.
BENNATO — “Nisida è un’isola e nessuno lo sa”, cantava Edoardo Bennato, che è nato lì di fronte, tra le braccia di una Bagnoli prigioniera di un divenire che non arriva mai. Ma Nisida è soprattutto l’isola che non c’è, il paradiso ad ovest della città ammorbata dai rifiuti, dove un verde rigoglioso incontra l’azzurro dell’acqua e del cielo. Idillio che al di qua del muro di cinta non si vede.
PASSIONE AZZURRA — In una domenica di fine campionato le aspettative ruotano tutte intorno al pallone. “La politica non ci interessa, l’importante è che vince il Napoli” urlano i ragazzi. Aspirazione disattesa, perché dopo un primo tempo sonnolento la partita si mette male. Quando il Lecce fa l’1-0, dentro la grande sala bianca con le sedie blu gli improperi si sprecano. Poi Mascara segna l’uno pari e l’euforia rimbomba nel silenzio di quest’oasi riservata a chi non vorrebbe abitarla. Il 2-1 di Chevanton, infine, smorza gli entusiasmi, ma non li azzera. “In Champions ci andiamo lo stesso – si risolleva Silvestro -. Vorremmo tanto vedere una partita al San Paolo, magari Napoli-Inter. Che dite, il presidente ce lo fa ‘sto regalo?”.
VISITE GRADITE — Qui sono venuti in visita Cannavaro, Grava, De Sanctis, Gargano e Iezzo. Tutti però aspettano Lavezzi: “È decisivo per il gioco del Napoli, come Hamsik. Non vanno ceduti. E pure Mazzarri deve restare, se no si smonta tutto”. Silvestro e Gennaro, invece, si iscrivono al partito del campanile: “Meglio Di Natale o Borriello, a Napoli ci vogliono i napoletani”, replicano. Poi corrono fuori, affamati d’aria. Si cambiano e vanno a giocare a pallone. “Lo sport è uno strumento rieducativo fondamentale”, spiega Luigi Petrucci, comandante della Polizia Penitenziaria. Ma la vera partita, assicura, comincia quando ci si lascia alle spalle il cancello d’ingresso. “Se tornano nel contesto familiare e sociale che li ha deviati, spesso ci ricascano. Solo quattro o cinque su cento si salvano”, rivela il comandante mentre il sole si corica sulla linea dell’orizzonte. Tra poco un’altra notte calerà su Nisida.
Fonte: Gazzetta.it
La Redazione
S.D.
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