Oggetto di mercato di numerosi club, tra cui il Napoli, Ilja Nestorowski, centravanti del Palermo, ha rilasciato una lunga ed interessante intervista ai microfoni del Corriere dello Sport. Ecco le sue parole:
“Ogni giorno finita la scuola, mi fermavo con gli amici nel campetto allora di cemento: calcio, basket, pallamano. Adesso è tutto diverso, tutti sono alle prese con internet e Facebook e quei campetti restano vuoti. Gol? Pur di giocare dicevo che ero portiere. Anche mio figlio farà il calciatore, mai in porta anche se l’importante a quell’età è divertirsi. Non sono cambiato. Mi chiedono: il Napoli, la Juve, il Real? Voglio essere felice, se sto in panchina non lo sono”.
“Passione? Da chi l’ho ereditata? Potrei dire da papà ma non è così. A 19 anni gli hanno proposto un prestito in terza categoria e si è arrabbiato: finisco la scuola e smetto. E’ stato di parola. E i figli? Se sei maschio i genitori ti impongono il calcio. Per fortuna già a sette anni ero un fenomeno (ride, ndr). Papà Goran lavora come manutentore in un liceo. Impiegato statale. La mamma Giordana in una fabbrica di vestiti. A Prilep ci si arrangia. E poi mia sorella, Natali, più piccola di un anno, fidanzata. Soprannomi? Per mia moglie sono: ‘Mio amore’ o ‘Sole’, in macedone come dire ti voglio bene. Nel mondo del calcio ‘Nestor’ e ora, dopo tanti gol, anche ‘maestro'”.
SEGRETI – “Non ho Playstation, la politica non mi interessa, sono cristiano. Guardo la tv per il calcio anche dieci volte lo stesso gol. Musica? Motivetti per bambini, io ascolto quella balcanica. Ultimo libro letto? All’asilo… Ne sarà passato di tempo? Adesso dopo dieci pagine mi annoio. Ho provato con la storia di Ferguson… Nessuna emozione. Guardare film? Ore buttate. Al massimo “X Factor”. Le auto? Non sono il tipo che copio il compagno che arriva in Porsche. I soldi preferisco investirli nel mattone”.
TRA SOGNI E TRAGUARDI – “Sono andato a scuola fino al ginnasio. Senza un pallone non avrei saputo cosa inventarmi. Ho sempre creduto di essere un grande, di poter sfondare. La mattina mi alzo e sono allegro, faccio quello che mi piace e con entusiasmo. Non sono come altri che sognano Real Madrid o Barcellona, Ronaldo o Messi, cerco la mia felicità. Se guadagno qualche soldo in più meglio. Ma la mia vita è bella… Ho una moglie fantastica, una bambina magica, la piscina, gioco in A, ho soldi, tutto. Intanto, aiuto il Palermo a salvarsi. Non penso ad altro fino al termine della stagione. Più che sogni traguardi? Certo, come diventare capocannoniere in A. Essere il migliore, sempre. Del resto anche a carte con mia moglie o a palla con mia figlia, voglio solo vincere. Se sei il migliore, gli occhi saranno puntati su di te. Prima non avevo grandi squadre o soldi. Oggi sono in paradiso. Lo sono sempre stato dove ho lasciato il cuore. Qui a Palermo rappresento un simbolo, vivo bene, è la mia dimensione. Posso andare anche a Roma o a Torino ma se non gioco il fuoco si spegne”.
SUPERSTIZIONE – “Una volta in Croazia segnai con le mutande blu e chiesi a mia moglie di conservarle solo per la partita. Se faccio gol, ripeto gesti e situazioni. Comunque debbo essere il primo ad entrare in campo. Contro il Napoli, ho preso un’omelette a colazione e ora continuo a farlo. Avevo promesso di tagliarmi barba e capelli se avessimo vinto contro il Crotone. Poi ci ho ripensato: vuoi vedere che va bene così? Martina non ha sentito ragioni: con voi in arrivo, dovevo presentarmi al top. In compenso sembro un ragazzo di diciotto anni… Sono del segno dei pesci, nessuno ci crede. I pesci sono tranquilli, io mi sento un coccodrillo. Carattere? Tu mi vuoi bene, io te ne voglio: tu mi vuoi male, io trenta volte di più”.
IL GOL – “Ricordo nella palestra indoor della scuola. Non avevo sei anni. Dribblai tutti, pure il portieri. Il futsal mi è servito. Guardate i gol al Crotone e all’Atalanta. E con il Sassuolo l’assisti di tacco a Quaison. Il più bello? L’avrei segnato a Buffon se non avessi preso la traversa. Mi resta quello in Zapresic-Istria: palla a giro all’incrocio dal limite. Quello che vorrei segnare? All’ultimo minuto, decisivo, su rigore e col cucchiaio. Magari domenica… Il gol per me è gioia, immaginate che prima, anche con un cinque a zero in tasca, se non segnavo era come se non avessi vinto. Ora sono cresciuto. Totti urlava da ragazzino che il gol è come un bacio? Per me è il sesso”.
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