«Ora può accadere di tutto». La frase appare come un nefasto presagio, ma è quello che davvero potrebbe accadere. Una frase detta sull’onda del dolore per la diffusione della notizia della morte di Ciro Esposito. A dirla, a favore di telecamere e taccuini, è tale Sasà Capobiondo che si definisce un appartenente a gruppi del tifo organizzato. L’aspetto è quello d’ordinanza: capelli rasati, occhiali scuri calati sul volto, jeans stretti e sneaker. E, dettaglio non da poco, tatuaggio in bella vista sul collo. Vi è raffigurata il simbolo del calcio Napoli, con la N grande e tutto azzurro. Sasà è uno dei tanti ragazzi che da ieri mattina stazionano nei pressi e all’esterno dell’autolavaggio della famiglia Esposito in via Ghisleri. Assiste al cambio degli striscioni di sostegno a Ciro con il drappo nero e la scritta «ciao eroe». Appena la telecamera gli si avvicina risponde alle domande che gli vengono rivolte.
In primis l’appello lanciato da Roma dai genitori di Ciro che hanno chiesto di fermare ogni azione violenta. «Rispetto l’appello dei familiari», dice, ma subito aggiunge: «ma non so come reagirò quando vedrò un tifoso della Roma che si comporta come ha fatto De Santis». Parla di odio e spiega però che questi sentimenti «non sono per i tifosi romanisti in generale, ma per chi si macchia di simili gesti». Capobiondo esprime vicinanza alla famiglia di Ciro Esposito e afferma di sentirsi «come una persona a cui hanno tolto un fratello». Alle istituzioni e forze dell’ordine che hanno gestito l’ordine pubblico in occasione della finale di Coppa Italia Fiorentina Napoli, quando Ciro è stato ferito, dà «zero in condotta». «Siamo stati lasciati soli — conclude — quando siamo arrivati a Roma non c’era neanche un vigile urbano». Insomma dichiarazioni di certo non concilianti, come avrebbero voluto i familiari di Ciro ed in particolare la mamma, che in più occasioni, anche quando il ragazzo era ancora vivo ha più volte fatto. E come ha fatto anche ieri. Intanto il clima è sempre più mesto. In giro per Scampia sono comparsi diversi striscioni, la frase è sempre la stessa: «Ciao eroe». Sì, il termine è eroe. Perché sono stati i familiari di Ciro a definirlo così: «perché ha salvato decine di donne e bambini dall’assalto dei romanisti». Vendetta o non vendetta. L’interrogativo per ora non si pone. Non si deve porre. Questo è il momento del dolore e il codice non scritto degli ultras non prevede gesti eclatanti. Adesso c’è solo rabbia per «nu frate», «nu’ cumpagno» che non c’è più. L’allerta delle forze dell’ordine c’è, ma non è preoccupazione. Certo, ragiona qualche esperto di ordine pubblico di tifoserie, il gesto di una scheggia impazzita può sempre esserci. Ma il nocciolo duro e puro delle sigle organizzate in questo momento stanno ragionando e piangendo chi non c’è più. Casomai il problema si dovrà porre in futuro. E parlando di acredine tra romanisti e napoletani, il terreno di scontro non potrà che essere il prossimo incontro tra le due squadre di calcio. La preoccupazione, dunque è rinviata di qualche mese, alla rispresa campionato.
Fonte: Corriere del Mezzogiorno
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