Che poi, a pensarci, la partita è stata un di più. Attenzione: non che non ci siamo svegliati stamattina con negli occhi la splendida corsa del Magnifico sotto la pioggia con la maglietta in mano, a regalare alla curva il capolavoro assoluto che aveva messo la palla in porta e la faccia del portiere sul palo.
E non che abbiamo dimenticato il volo del Pipita, a impattare la palla per metterla nell’angolino insieme al ricordo del Matador. E non sia mai detto che il governo del campo dello svizzero pelato non sia stato sontuoso, o che qualcuno si permetta di immaginare che la nuotata orizzontale a mezz’aria di Reina ad agguantare la punizione di Reus non sia stata un sogno. E diciamo anche di più: forse anche la papera di Zuniga, che ha messo il tacco schizofrenico su una traiettoria vana e l’ha mandata in porta, ha avuto il suo ruolo nella formazione della Giornata Perfetta. Perché il pathos che ha accompagnato gli ultimi giri della lancetta, la sofferenza indicibile dei sospiri finali, l’eroica rovesciata di Britos che ha chiuso la partita sarebbero stati meno scintillanti, nel ricordo che, ne siamo certi, accompagnerà nei cuori azzurri questo incontro per anni.
Ma la partita, dicevamo, è stata un di più. Anche se la giovane corazzata ha affondato uno squadrone che quest’anno non aveva ancora non vinto, anche se i gialli avversari sono i vicecampioni d’Europa, anche se la Germania nel calcio è avanti a noi quasi come in economia, la partita è stata un di più. Perché la Giornata Perfetta ha avuto un altro momento in cui si è virtualmente conclusa, un altro attimo che ha scavato la famosa cicatrice profonda sull’anima.
A quel momento il tifoso azzurro è arrivato soffrendo di attimo in attimo fin dall’alba, quando inevitabilmente si è svegliato con quel pensiero in testa. E trovando mezzo gaudio nel mal comune, si è confrontato con centinaia di migliaia di identiche sofferenze, per strada, nei bar, sui social network. Se esistesse un contatore, le parole Napoli e Borussia si sarebbero moltiplicate a dismisura, man mano che una placida mattina di sorrisi coi tifosi tedeschi, a sorridere nelle foto e a bere birra, evolveva in un mezzogiorno di batticuore sui siti tecnici, in un pomeriggio ansioso a scrutare il cielo e in un calar del sole di angoscia. La Giornata Perfetta si è sedimentata in uno stadio pieno come un uovo già due ore prima, come ai bei tempi; e si è composta col riscaldamento delle squadre, fatto di fischi e applausi, con le canzoni sempre più esaltate ed esaltanti.
E si è completata col pallone a scacchi tenuto a metà campo dai raccattapalle, uguale a com’è in televisione, mentre dagli altoparlanti del Tempio veniva diffusa una musica nuova, che è più oj vita mia di oj vita mia. Era quasi conclusa, la Giornata Perfetta, quando le squadre si sono allineate incredule, guardando quell’ululante muro umano serrato in un unico orgasmo di felicità.
E la Giornata Perfetta si è chiusa quando la musica è andata in crescendo verso la fine, e tutto il mondo azzurro ha tirato fuori dai petti vibranti e dalle gole arrossate due sole parole: the Champions.
Ve l’abbiamo detto, la partita, per quanto meravigliosa e indimenticabile, a quel punto poteva anche non giocarsi. Perché con quell’urlo infinito, squadra e città hanno informato l’Europa che sul campo irrompe qualcosa di vincente e di azzurro. E che tutti, proprio tutti dovranno tenerne conto.
Fonte. Il Mattino
La Redazione
M.V.
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