Cesare Prandelli, ligio ai variegati doveri di ct dell’Italia, sorride, scherza e fa il simpatico su tutto e con tutti. Osservandolo bene in faccia, però, ti accorgi che la sua serenità è solo apparente: un paio di sguardi di traverso e capisci che qualcosa dentro gli brucia. E che la voglia di mollare la baracca azzurra e i burattini che la popolano si fa ogni giorno più forte.
Ha preso un’Italia rottamata e l’ha portata in due anni tra le prime due nazionali d’Europa: un’impresa, «costruita attraverso un’idea nuova di calcio, senza mai dimenticare il nostro passato», e, per questo, avrebbe voglia di spaccare il muso (dialetticamente…) a quanti hanno cercato di ostacolare il suo lavoro. Non potendoselo permettere (ahi, quei doveri…), si affida alle parole cercando con cura quelle giuste. «I sassolini per ora continuo a tenerli nella scarpa». Sorride in maniera vera solo quando parla di Giorgio Napolitano. «A nome di tutto il gruppo voglio fare gli auguri di buon compleanno al nostro Presidente per il quale nutriamo grande ammirazione. Ci è stato sempre vicino, ci ha quasi adottato».
Ce l’ha con un sacco di gente, Prandelli. «Quando si dice che la nazionale non interessa a nessuno è verità. Abbiamo fatto uno stage per l’Europeo ma si parlava solo di Juventus e Milan. Troppi interessi vengono prima della Nazionale. Negli altri Paesi al primo posto c’è la Nazionale… Adesso siamo tutti tifosi, tutti paladini. Poi a settembre il silenzio». O, alzando vistosamente l’asticella. «Il presidente del Consiglio Monti aveva detto che forse era meglio fermare il calcio per due o tre anni; un pm ha mandato un avviso di garanzia a un nostro giocatore senza dirci se lo avrebbe interrogato dopo due, quattro o sei giorni… Qualcuno ha capito il senso delle mie parole («Se volete restiamo a casa»,), altri no… Intendevo dire: vogliamo giocare, non siamo coinvolti in tutto il resto. Se pensate che non rappresentiamo in maniera degna il Paese, rimaniamo a casa. Sono un allenatore non un politico. Ora tanti vogliono salire sul nostro carro? Non mi occupo io dei biglietti…». E sulla presenza di Monti domani a Kiev è sintetico. «Non mi sorprende».
Concetti efficaci, facilmente decriptabili, anche in merito al proprio futuro. «Mai parlato di divorzio, mai posto condizioni. Ho sempre detto che allenando la Nazionale è migliorata la qualità della mia vita, ora – però – aggiungo che negli ultimi due mesi ho fatto fatica a capire se c’è qualità nella mia vita…». Il discorso torna indietro, a tutti i problemi che Cesare si è trovato ad affrontare (e a superare), e si fa ancora più chiaro. «Faccio le mie riflessioni, dopo la partita con la Spagna ne riparleremo. Mi ha fatto piacere l’interesse di Buffon. Gli ho spiegato la situazione, vedremo… Io faccio l’allenatore e non sta a me porre condizioni; se mai, deve essere la Federazione a farlo…». Impressioni? Vuole andarsene, non più sopportando le molteplici entrate a gamba tesa sul suo lavoro. «Qui non va via nessuno…», la sua minaccia/promessa. «Io quando ho stabilito un codice etico non avevo messo in preventivo gli avvisi di garanzia… A me interessa solo il comportamento in campo, tutto il resto è vita privata».
Ora, però, c’è da pensare alla Spagna per chiudere in bellezza. «Una Nazionale che è un esempio per come ha programmato il lavoro. Al suo confronto, siamo molto indietro perché in Italia si cambia parere anche tra il primo e il secondo tempo… Cercheremo di metterla in difficoltà sfruttando i suoi difetti. A Varsavia abbiamo palleggiato basso, nella nostra metà campo, malgrado il pressing della Germania. Ecco, dovremo avere il coraggio di farlo anche contro la Spagna. Cosa ho in comune con del Bosque? Se continuo così, il peso…». O, chissà, da domani un titolo europeo.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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