Le lacrime degli azzurri a Birkenau, ascoltando, seduti sul binario della morte davanti a un vagone, la testimonianza di tre superstiti dello sterminio. È la forza delle parole di Piero Terracina, Anna Weiss e Samuel Sami Modiano che arriva in mezzo al petto. Nocerino e Montolivo, loro in piedi, piangono e si commuovono. Come Barzagli, in prima fila, e Prandelli, un po’ defilato. In fondo c’è Buffon. Anche lui è in piedi, attento e colpito. Thiago Motta si toglie la giacca della tuta quando il sole comincia a scaldare. Rimane in maniche corte. È alto, ma si porta al petto le ginocchia per appoggiarci la testa. Mostra i tatuaggi sulle braccia e la sua disperazione. Quei racconti non li vorrebbe veri come invece sono. Cassano e Balotelli, sempre vicini, hanno lo sguardo rivolto a chi sta spiegando loro l’Inferno. Perché i tre così ripetono, indicando a turno sempre verso la stessa direzione, le camere a gas. Dove morirono più di un milione di ebrei come loro. I papà, le mamme, i fratelli e le sorelle. I parenti, gli amici.
«Io vi capisco: i miei genitori adottivi sono di origine ebraica». Balotelli non nasconde la storia della sua famiglia bresciana a chi come Vittorio Pavoncello, presidente della Federazione Italiana Maccabi, gli offre solidarietà per i cori razzisti: «Chiamaci, faremo qualcosa per te». «Bisogna fermare le partite e andar via dallo stadio quando si sentono i cori razzisti» avverte Terracina. «Li dovete portare qui» interviene Renzo Gattegna, presidente della comunità ebraica in Italia. «Non si possono trovare parole. Però, quei numeri sul braccio…» Chiellini non si dà pace. Weiss li mostra per prima. «Ero una bambina, mi sentii subito una bestia. Perchè così ci consideravano». Terracina elenca l’undici dell’Italia campione del mondo del ’38 in Francia. Si entusiasma, davanti gli interlocutori giusti: «Biavati è quello che inventò il doppio passo». Si intristisce: «Mi emozionavo con Carosio, ma fu l’ultima volta: a noi ebrei, vietarono anche la radio». Il discorso di Modiano, italiano di Rodi e ultimo dei tre superstiti a parlare, diventa il più toccante. Non perché quello finale, ma perché Sami rivive, con molti giovani padri tra i giocatori, la sua storia di bambino, rimasto solo a 14 anni. «Mio papà Giacobbe teneva per mano me e mia sorella Lucia. Quando i nazisti lo separarono da lei, per non lasciarla andare, prese tante bastonate. Non posso scordare quel momento. Ogni volta che torno qui vado davanti alla baracca dove vidi per l’ultima volta Lucia». Andrà lì, duecento metri indietro, dopo una decina di minuti. De Sanctis ha un’immagine nel cuore: «Le mani dei padri che si staccano da quelle dei figli. Bisogna combattere le discriminazioni che non devono mai più verificarsi».
Il calvario dei bambini è negli occhi di Montolivo quando si ferma, nel museo di Auschwitz, davanti alla teca con piccole scarpe e vestitini da neonati. Prandelli è dietro di lui. Guarda e va subito via. La mattinata finisce, prima di mezzogiorno, con abbracci e carezze di tutti gli azzurri a Weiss, Terracina e Modiano. Un inviato tedesco commenta: «Molto più profondo di quello della nostra nazionale della settimana scorsa, anche se i discorsi dei polacchi Klose e Podolski erano stati belli. Ma i tre superstiti e gli azzurri hanno reso l’incontro molto intenso».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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