Spingersi oltre i propri limiti regala il giusto tributo di gloria, l’ebbrezza di traguardi inaspettati ed il tripudio di un’intera città; ma anche la possibilità che tanta gloria muti in immotivato sconforto alle prime serie difficoltà.
Il Napoli è settimo in campionato, distante dodici punti dalla vetta e nove dal terzo e ultimo posto valido per la qualificazione Champions. Proprio il terzo posto dello scorso campionato è il tema intorno al quale si è montato un grosso “equivoco mediatico”. Il successo dello scorso campionato, è fondamentale capirlo, è stato frutto di una serie di concause di cui i meriti del Napoli costituiscono certo grossa parte ma che da soli non bastano a spiegare l’improvviso exploit degli azzurri, passati in due anni dal dodicesimo al terzo posto. Trovarsi a competere per le posizioni Champions – oltre che con le solite milanesi – con l’Udinese e la Lazio è stato il segno dell’anomalia di un campionato in cui squadre come la Roma e la Juventus (per la seconda volta consecutiva) non sono mai state davvero in corsa per le prime posizioni.
E’ qui che nasce il grosso equivoco di cui accennavo. Il Napoli, considerato il valore complessivo della squadra, non valeva quel terzo posto. Troppo sbilanciata la rosa, composta da giocatori di “prima fascia” come Hamsik, Lavezzi e l’incredibile Cavani dello scorso campionato e calciatori di valore tecnico più modesto come i vari Aronica, Pazienza, Cannavaro, Campagnaro e Dossena. Uomini ai quali, anche questo è doveroso chiarirlo, riconoscere ancor più merito del successo finale perché spintisi, con l’applicazione e il sudore, oltre i propri limiti per colmare un gap tecnico pure evidente con formazioni più attrezzate in tutti i settori del campo.
E’ questa la fase in cui Mazzarri, uomo navigato e profondo conoscitore di calcio, ha fiutato il pericolo e ha provato a “smarcarsi” proprio nel momento di maggiore gloria. E’ difficile spiegare oggi se si trattasse della volontà di lasciare la piazza avendo raggiunto quello che a suo parere era il massimo traguardo possibile, o semplicemente – ipotizzando il fisiologico calo di questa stagione – di mettere in guardia la piazza e, soprattutto, De Laurentis sulla necessità di migliorare sensibilmente la rosa. Di indubbio valore gli acquisti che il tecnico ha proposto al presidente a tal fine. Resta tutto da dimostrare che Vucinic, Vidal e Criscito – in luogo dei successivi acquisti effettuati di Britos, Dzemaili e Pandev – avrebbero evitato la recente flessione in campionato. Chi vi scrive non lo crede.
Fatto sta che le condizioni peculiari che hanno portato alla storica qualificazione diretta in Champions difficilmente si sarebbero potute ripetere anche in questa stagione. Roma e Juventus si sono presentate ai nastri di partenza con nuovi progetti tecnici e tattici e con rose, soprattutto per quanto riguarda i piemontesi, concepite in maniera più funzionale all’idea di calcio dei rispettivi allenatori. Il Napoli, chiamato al difficilissimo compito di ripetersi ai livelli altissimi del campionato precedente, ha stentato nella prima metà della stagione, alternando prestazioni di alto livello con le grandi squadre a prestazioni mediocri con formazioni votate solo a difendersi.
Gli scarsi risultati e la sempre più probabile esclusione dai primi tre posti validi per la qualificazione Champions hanno creato i primi malumori in una piazza che aveva sempre , o quasi, dimostrato una granitica fiducia nel progetto De Laurentis. Le recenti dichiarazioni di Mazzarri circa il reale valore della squadra e dei realistici obiettivi di quest’anno, impongono di fare definitiva chiarezza sull’effettivo valore del Napoli e dei modi in cui si può elevarlo.
Il segreto del successo del tecnico toscano è anche il suo difetto più grande, più umano: pretendersi infallibile. La spinta inesauribile verso il miglioramento, lo zelo con cui prepara la squadra lo spinge sì verso il continuo miglioramento ma lo rende poco recettivo verso le critiche. A sua discolpa ci sarebbe da ammettere che spesso le critiche sono sterili e mosse da personaggi il cui solo scopo è quello di ritagliarsi un’esposizione mediatica ed un seguito che altrimenti gli sarebbe precluso. Capipopolo senza merito, gente che fa il male del calcio.
Di contro, non si può negare che l’affermazione di Mazzarri non è rispondente al vero. Il Napoli non vale il settimo posto. Sentitosi criticato in maniera eccessiva ed ingrata, il tecnico di San Vincenzo è caduto in un macroscopico auto goal. Il limite del monte ingaggi è sì un ostacolo, ma lo è in sede di mercato futuro e prossimi rinnovi contrattuali delle stelle della rosa. Il valore sul quale fissare gli obiettivi minimi della stagione è quello del parco giocatori di cui dispone. Nonostante i limiti più volte ricordati, il Napoli può vantare su risorse tecniche che lo collocano alle spalle delle sole milanesi ed in linea con la Juventus e la Roma. Viene facile convenire con De Laurentis che l’obiettivo del Napoli è un piazzamento tra il terzo ed il quinto posto. Il che, se accadesse, dovrebbe spingere ad una valutazione di certo positiva della stagione, anche alla luce dei risultati eccellenti ed inaspettati della Champions League.
Le difficoltà del Napoli sono dovute, a mio parere, ad un calo fisiologico ma, soprattutto, a pecche tecnico/tattiche a cui il Napoli deve riparare.
Partiamo dalla difesa. Rivedendo i goal, tra i tanti, subìti con Parma, Atalanta, Bologna e Siena appaiono chiari alcuni elementi: alla scarsa condizione di alcuni giocatori si aggiungono i limiti tecnici di calciatori che, come ricordato, hanno giocato a lungo oltre le proprie capacità. Ciò che, però, è evidente sopra ogni altra cosa è un problema nell’organizzazione della fase difensiva, da sempre un punto di forza del Napoli di Mazzarri. Esemplare a tal fine analizzare il goal di Calaiò di domenica scorsa.
Gli azzurri hanno subito un goal imbarazzante a difesa schierata, con il solito trequartista (Brienza) venuto tra le linee per creare la superiorità numerica, i centrocampisti non hanno raddoppiato efficacemente, Cannavaro e Aronica sono stati costretti a scalare, lasciando un uomo a destra completamente smarcato per il ritardo di Maggio nella diagonale. Il contro cross dell’esterno senese ha poi evidenziato la poca concentrazione della difesa nel riprendere la posizione; Calaiò ha staccato completamente solo sull’out destra della retroguardia napoletana, nonostante la presenza su quel lato di almeno tre calciatori azzurri.
La fase difensiva è un problema nuovo nella gestione Mazzarri, non lo è quello dell’impostazione della manovra contro squadre che si difendono a pieno organico e che provano a sfruttare le sbavature della retroguardia partenopea con veloci ripartenze. Ridurre la questione ad un problema di modulo è sbagliato. Lo schieramento della squadra è più una possibile soluzione del problema che la causa. Le difficoltà nascono dal non aver studiato, provato e perfezionato una valida alternativa al gioco sugli esterni, sfruttando meglio le caratteristiche di altri giocatori come Pandev, Zuniga e Lavezzi nel giocare tra le linee negli spazi centrali.
Mazzarri, dal canto suo, deve anche risolvere il dilemma della posizione di Inler, troppo poco protetto dall’interdizione del solo Gargano, e di Hamsik, ancora bloccato nel trovare soluzioni di gioco differenti ai soli inserimenti centrali in fase di ripartenza.
Problemi in cui le responsabilità di Mazzarri, chiamato ad innovare la manovra azzurra, sono evidenti. Per il tecnico di San Vincenzo questo è l’esame di laurea, superato il quale gli si dovrà riconoscere lo status di grande allenatore.
Alla società spetta il compito non meno difficile di adeguare la rosa agli obiettivi sempre più ambiziosi che si pone, rivedendo – se necessario – anche le proprie strategie in fatto di monte ingaggi e diritti d’immagine.
In ultimo, tocca a tifosi e media mantenere i termini delle proprie critiche nei limiti della ragionevolezza. Sollevando le proprie perplessità senza, però, dimenticare di riconoscere i meriti a quanti hanno ben operato nel recente passato.
Non bisogna dimenticare chi si è stati e chi si è per poter ambire ad essere migliori. Dirsi con franchezza la verità, senza offendersi o sentirsi traditi, è il modo migliore per andare tutti nella stessa direzione. La direzione della crescita e di futuri successi.
A cura di Pompilio Salerno
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