NAPOLI – Il pranzo è servito: manco il tempo di accomodarsi a tavola, di provare a leggere il menù, di afferrare le posate e Napoli-Torino può considerarsi virtualmente (ma pure tecnicamente) chiusa.
Le dodici e trenta, sarebbe l’ora (e mezza) del ragù, sarebbe in realtà una partita di calcio, che all’una è stata abbondantemente consumata: un rigore per cominciare, un altro per continuare e tutto il resto, di ciò che resta d’un match ormai teorico, utilizzato per digerire, per divagare, per calcolare (persino) le calorie spese e quelle da conservare.
PIPITA D’ORO – Pronti, via: ma è un percorso breve, uno scatto fulminante, una classica passeggiatina domenicale che il Napoli si concede sui resti del Torino o, se preferite, sui fantasmi che attraversano il San Paolo lasciando sbigottito Ventura, in una manciata di secondi che non consente (neanche) di assaporare il “sacro” profumo del pathos, perché al trentunesimo è già 2-0 e in quella sintesi estrema non ci sono tracce di braccio di ferro. Il Napoli ha fretta, va con leggerezza, palleggia con padronanza assoluta, tiene il campo senza concederne, sposta il pallone e l’avversario e si dedica a un monologo nel quale l’acuto di Mertens (13’) è utile per andare in pressione centrale, rimediare il contatto con Bellomo e concede a Higuain il sostegno psicologico di cui il bomber ha bisogno: mazzata terrificante di destro, sotto la traversa, e l’1-0 sa di test per quei muscoli indolenziti divenuti argomento da convegno medico.
IL TEMA – La traccia in realtà non si scorge e, al di là degli schemi, delle note tendenze, al Napoli basta ripassare la propria lezioncina e poi andare ripetutamente alla ricerca di Higuain (22’: destro fuori di poco), al quale arrivano risposte confortanti dal proprio corpo (poi 28’, diagonale su ispirazione di Mertens, tenuto da Padelli).
Le sfide, pure nel calcio, richiedono interlocutori, ma il Toro s’è appisolato, è rimasto incastrato nel cambio d’ora o s’è perduto in quella giornata d’un caldo sopportabile. Ma non si può ancora archiviare, almeno sino a quando il colpo di sole non miete vittime a bordo campo, là dove ondeggia Mazzoleni che sistema la ceralacca sulla giornata: in area è caos relativo da angolo, ma la botta di Fernandez picchia sul gomito tenuto ben stretto al corpo da Glick. Quanto basta per spingere – dopo qualche esitazione – De Marco a fare il bis (tra l’ira di Ventura e d’un Torino incredulo) ed Higuain a ripetersi, stavolta con tanto di finta.
ARRIVEDERCI – Il resto è cronaca spicciola nel contesto d’una sfida monotematica: un vuoto di memoria di Insigne (37’), che con la porta vuota s’imbatte nel disperato D’Ambrosio; una punizione di Cerci (41’) smanacciata da Reina; e poi (addirittura) un’insospettabile attenzione a risparmiarsi. Potendoselo permettere! Però qualcosa accade: Mertens ha la possibilità per rodare ulteriormente e (24’) persino per tentare la soluzione personale. Callejon – che concede il turn over a Higuain – sente nel piedino (34’) l’ennesima prodezza personale, dopo un ribaltamento secco: quaranta metri di campo forse lo sfiancano, certo Padelli ci mette del suo e, stranissimo ma vero, il Toro concede persino qualcosa di sé attraverso un Meggiorini a modo suo arrembante: è quel che serve per tenere sveglio Reina, per chiedergli di guadagnarsi la giornata. A pancia piena c’è più gusto…
Fonte: Corriere dello Sport
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