Partiamo da un difetto, che va eliminato prima possibile per rendere ancora più autorevole il primato del Napoli: nel finale delle ultime due gare, le più importanti se viste come esami, la squadra ha rallentato e ha chiuso in ansia dopo aver guidato gioco e partita per oltre 70 minuti. Sia col Borussia (autorete di Zuniga), sia a Milano (gol di Balotelli), la stanchezza o l’eccessiva sicurezza o tutt’e due insieme hanno creato un problema che Benitez deve risolvere. Per il resto, la forza del Napoli affiora in ogni elemento e in ogni aspetto. Ha tutto per reggere in testa fino alla fine.
(1) L’ORGANICO ADEGUATO – Fra le critiche che venivano mosse a Mazzarri c’era quella di far giocare sempre, o troppo spesso, i “titolarissimi” come li chiamava lui. Benitez ha modificato questa tendenza anche perché, a differenza del suo predecessore, può pescare in un organico più ampio e di maggiore qualità. Dovrà fare a meno per (almeno) 4 gare di Maggio che ha avvertito un fastidio al menisco del ginocchi sinistro e domani sarà operato dal professor Mariani. La cessione di Cavani ha permesso al Napoli di spargere la ricchezza in tutti i reparti, senza peraltro abbassare il livello dell’attacco visto l’arrivo di Higuain.
(2) LA NUOVA ANIMA – Quello che ha colpito, prima col Borussia Dortmund e poi a San Siro contro il Milan, è il cambio di mentalità della squadra. Benitez ha spinto in avanti il Napoli sfruttando le armi che il mercato ha messo a sua disposizione. Domenica sera, né Callejon, né Insigne hanno giocato la loro migliore partita, ma nonostante una flessione del rendimento tecnico erano comunque parti integranti della squadra. Erano un insieme. La qualità collettiva del Napoli supera la qualità dei singoli, anche quella di Higuain che resta il pezzo pregiato. Il cuore non è mai mancato a questa squadra, nemmeno negli anni della C2, ma adesso ha pure un’anima nuova che Benitez ha portato dentro lo spogliatoio.
(3) LA CONSAPEVOLEZZA – Rispetto al campionato scorso, il Napoli ha 2 punti in più, ora è a punteggio pieno, allora aveva vinto 3 partite su 4 e pareggiato proprio la quarta a Catania. Aveva vinto a Palermo, con la Fiorentina al San Paolo (quando ancora nessuno immaginava che campionato avrebbe fatto la squadra di Montella) e col Parma ancora al San Paolo. Non era stato ancora su campi difficili, non aveva incontrato avversari di livello internazionale. La prima volta capitò all’8ª giornata allo Juventus Stadium e ci lasciò le penne. Stavolta ha già sperimentato, con successo, prima il Borussia in casa e poi il Milan (seppur ammaccato) a San Siro. Oggi il Napoli è una squadra consapevole. Sa che non può nascondersi, che deve vincere sempre ovunque. Ecco, dà l’idea di una squadra che non si sottrae a nessuna responsabilità.
(4) L’ULTIMO SALTO DI HAMSIK – Ne parliamo il giorno dopo una partita non splendida, quella meno bella e meno elettrizzante del suo fantastico inizio di stagione. Nel caso di Hamsik il salto finale sta nei dettagli, nelle sfumature, perché anche l’anno scorso è stato fenomenale per lo slovacco: 10 gol e 10 assist, miglior uomo-assist del campionato. Ma se, come è successo a Milano, gli avversari quasi sacrificano il miglior elemento del centrocampo (De Jong) per marcarlo, vuol dire che il suo livello di considerazione ha raggiunto il massimo. Quattro gol, capocannoniere dopo 4 giornate insieme a Rossi. Marek sembra non fermarsi più.
(5) HIGUAIN E IL GIOCO D’ATTACCO – Che l’argentino abbia segnato già un gol in più dell’ultimo Cavani è un dato statistico, nemmeno troppo rilevante. Conta di più l’idea di forza che trasmette a tutta la squadra. Cavani nel Napoli lavorava in ogni zona del campo perché la sua corsa eterna gli permetteva di riempire chilometri e chilometri; Higuain corre di meno, ma è lui a tenere l’attacco anche quando la palla è degli avversari. Il suo gioco e la sua posizione ispirano una manovra mai banale e sempre efficace. E poi segna sempre.
Fonte: Corriere dello Sport.
La Redazione.
D.G.
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